Caldara dice addio al calcio giocato: "Ho deciso di smettere"
Mattia Caldara era considerato uno dei migliori talenti del calcio italiano, i continui problemi fisici l'hanno portato ad abbandonare il rettangolo verde.

Mattia Caldara era uno dei talenti più promettenti d'Italia, la sua esplosione nell'Atalanta di Gian Piero Gasperini aveva portato persino Juve e poi il Milan a puntare su di lui. Poi un lento declino dovuto ai tanti problemi fisici, fino alla decisione di ritirarsi, annunciata quest'oggi attraverso i suoi canali social.
Mattia Caldara appende gli scarpini al chiodo all'età di 31 anni: "Un foglio bianco, una penna. Chiudo gli occhi, butto fuori l’aria. Li riapro, è arrivato il momento. Caro calcio, io ti saluto. Ho deciso di smettere. No, non è stato facile deciderlo. Non lo è neanche scrivere queste parole. 'Caro calcio, io ti saluto'. Continuo a rileggerle. Forse è un modo per accettarlo. Accettarlo un po’ di più. Ora ho trovato un po’ di tranquillità. Ma ci ho messo un po’ per prendere questa decisione. Tutto è nato a luglio dopo una visita da uno specialista: 'Mattia non hai più la cartilagine della caviglia. Se continui tra qualche anno dovremo metterti una protesi'. Il mio corpo mi aveva tradito. Questa volta, forse, in modo definitivo".
Poi aggiunge: "In quel periodo la Juve era una realtà a parte, inavvicinabile. In bianconero, però, non ci ho mai giocato. Sono rimasto in prestito a Bergamo ed è stato giusto così. Non ero ancora pronto per un salto di quel tipo. A Torino poi ci sono arrivato nel 2018, senza però fermarmi. Venivo da stagioni in cui ero abituato a giocare e lì avevo davanti Chiellini, Bonucci, Barzagli. 'Abbi pazienza Mattia. Resta qui', mi ripeteva Giorgio. Ma io sapevo che non avrei trovato spazio. Sono rimasto poche settimane, solo per il ritiro estivo. Quando ho saputo dell’interesse del Milan ho accettato".
Poi il primo infortunio con i rossoneri: "Era la mia grande possibilità. In quei colori erano racchiuse le mie speranze. Ottobre, un allenamento come tanti altri. Stavo correndo, all’improvviso una sensazione mai provata pima, come se qualcuno mi avesse sparato sul tendine. Pensavo che qualcuno mi avesse calpestato la caviglia. Mi ero voltato a guardare: non c’era nessuno. Ricordo la faccia di Maldini mentre ero sul lettino. Leggevo il dispiacere sul suo volto: avevo capito tutto".
"Non riuscivo più a camminare per strada a testa alta. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Leggerezza e spensieratezza non facevano più parte di me. E quando vivi situazioni simili, non fai del male solo a te, ma anche alle persone vicine a te. Mi sono convinto. 'Cosa vado avanti a fare?'. Ero in quella situazione nonostante avessi corso molto meno di quanto avrei fatto in un ritiro con una squadra. 'Che senso ha tutto questo?'. Era il momento di dire basta. Basta al calcio giocato e, soprattutto, alla sofferenza e al vuoto che da anni mi accompagnavano. Anni in cui mi sono nascosto da me stesso. Ho ripreso in mano la mia vita. Sto recuperando quello che ho perso. Anche se, a volte, perdersi serve". Ha concluso.
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