Repice: "La radio è immaginazione, nelle case devo portare lo stadio non le statistiche"
Lo storico commentatore ha parlato a TuttoSport: "Devo far sentire la musica, i cori. Così chi sta ascoltando la radio, si siede, chiude gli occhi e già si fa un quadro".

Francesco Repice, storico commentatore radiofonico, ha rilasciato un’intervista all'edizione odierna di Tuttosport. "Con noi il calcio è immaginazione. Il merito è del mezzo, che è la radio. La radio ti insegue, va dove vai tu. Nello specifico è di Radio1 Rai e di quella trasmissione che è la più anziana ma al contempo la più attuale e la più copiata delle trasmissione sportive: Tutto il calcio minuto per minuto".
Come approccia le partite Repice? "Rispetto alla radiocronaca, al lavoro, nessun tipo di emozione. Ma quello che mi frega è il tifo: a me dà terribilmente fastidio perdere, mi innervosisce. Dunque soffro per la Nazionale e per la mia squadra del cuore, che è la Roma. Le partite dell’Italia importanti, quelle dagli ottavi in su, per me sono una devastazione".
Difficile quindi tenere a bada le emozioni ma capita di commentare delle partite con pochi stimoli. E allora che fare? "A volte i colleghi mi chiedono, stupiti: tu vai allo stadio e non porti nemmeno una penna, nemmeno un foglio di carta? Spiego che è proprio per questo motivo: io devo portare lo stadio dentro le case, non le statistiche. Devo far sentire la musica, i cori. Così chi sta ascoltando la radio, si siede, chiude gli occhi e già si fa un quadro".
Le statistiche quindi, secondo Repice vanno bene per la tv che, mostrando le immagini, deve andare oltre. Tra i grandi maestri da qui ha attinto c’è anche l’uruguaiano Victor Hugo Morales che gli ricorda Sandro Ciotti: "Durante un giornale radio, c’ero io con un foglietto scritto, pronto a subentrare per la parte sportiva dopo la messa in onda del giornale propriamente detto. Sandro mi vide con il foglietto. “Dove vai?”, mi chiese. Io spiegai. “Quanti servizi devi lanciare?”. Risposi: due, tre. Prese il foglio e lesse cosa mi ero preparato. “Ok, bene”. E si avviò là dove doveva andare. Io pure, mi apprestavo a fare il mio. Quando sentii una voce, a 12-15 metri di corridoio: “Ah regazzì, ma se te danno una radiocronaca da 90 minuti te la scrivi prima?”. Ecco. Una coltellata avrebbe fatto meno male. Buttai il foglio all’istante: da allora non mi sono scritto mai più niente".
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