Hubner: "Maldini volle la mia maglia, Recoba mi rovinò l'esordio. Un solo fenomeno"
Dario Hubner, storico centravanti e goleador italiano, ha raccontato momenti importanti della sua incredibile carriera calcistica.

Dario Hübner, ex attaccante italiano che a 35 anni si laureò capocannoniere della Serie A 2001-02 insieme a David Trezeguet, ha centrato un record che ancora oggi condivide solo con Igor Protti: essere stato miglior marcatore in tutte le categorie professionistiche italiane.
Oggi vive con i nipoti, tra i boschi a cercare funghi e in panchina con la Zeta Milano. Ha rilasciato una bellissima intervista a La Gazzetta dello Sport ed ha ripercorso tanti momenti della sua carriera e non solo. Ma si parte ovviamente dalla questione bomber. Non ce ne sono più tanti come un tempo: "Dovremmo riportare il livello degli anni ’90: in A c’erano fenomeni, ma anche in B c’erano punte fortissime: Paci alla Lucchese, il Cobra Tovalieri, Marulla al Cosenza… Ovunque andavi trovavi un attaccante che poteva giocare in Serie A, ma lì c’erano i fenomeni, e il posto non lo trovavi. Oggi il centravanti puro, quello che a prescindere la butta dentro, sta piano piano scomparendo".
Sulla scelta di Retegui: "Una scelta di vita, che io non avrei mai fatto. Meglio 4 milioni per dieci anni in Italia che 20 per due in Arabia, soprattutto a 26 anni. Modric in Italia a 40 anni? Luka è impressionante. Ci dimostra come non debba sempre tutto essere legato a fisico e corsa. Non fa i 100 metri in 10 secondi, ma di testa ragiona 100 volte meglio di chiunque altro perché sa già cosa fare quando gli arriva la palla. Io ho giocato con Pirlo: non era un fulmine, ma mentalmente arrivava un secondo prima degli altri".
Sull'esordio contro l'Inter in Serie A: "La notte prima della partita (31 agosto 1997) a mezzanotte, in camera, accesi la tv: incidente di Lady Diana. Rimasi attaccato alla televisione fino alle tre. Il giorno dopo ero tranquillo, quasi non realizzavo nulla: a 20 anni giocavo in Prima Categoria, a 35 ero in Serie A. Ho lavorato tanto, senza regali e senza procuratori a farmi fare salti di cinque categorie. Sono entrato a San Siro all’una e mezza, 85mila persone, e ho segnato l’1-0. In campo non mi sono reso conto; dopo la doccia, prima di salire sul pullman, ho acceso una sigaretta e mi sono detto: 'Bravo Dario, dopo 15 anni hai segnato in A'. In realtà a rendere meno memorabile la mia serata fu la doppietta di Recoba. Per colpa sua perdemmo 2-1. Ogni volta che lo vedo, per prenderlo in giro, gli dico: 'In dieci anni all’Inter hai giocato tre partite, una di quelle contro di me. Ma non potevi stare in panchina?'"
"Io ho conosciuto tanti giocatori forti, direi i migliori di sempre, ma un unico fenomeno: Ronaldo. Una sola volta in 90 minuti provai a pressarlo: vidi che non aveva controllato bene la palla e andai per rubargliela. Appena mossi la gamba, lui era già un metro e mezzo avanti. Non posso spiegare quanto fosse forte, ma anche umanamente incredibile. Dopo la partita mi diede la maglia e io gli chiesi una foto. A proposito... Posso raccontare un aneddoto? Brescia-Milan: nel sottopassaggio arriva Paolo Maldini. 'Dario, mi daresti per favore la tua maglia?'. Pensavo scherzasse. A fine primo tempo era lì ad aspettarmi. Magari l’avrà regalata a un amico (ride ndr), ma se Maldini ti chiede la maglia vale come una tripletta in A. Devo ammettere che prima di grandi giocatori io ho conosciuto grandi uomini: Ferrara, Montero, Zidane, Maldini, Costacurta, Baggio… persone umili, 'terra terra'. Al tempo chi si comportava male veniva subito rimesso a posto dai grandi dello spogliatoio. Nessuno osava tirarsela".
Sul rapporto con Baggio: "Non direi un rimprovero, ma tatticamente con Baggio non ci incastravamo proprio. È stata una fortuna e una sfortuna averci giocato: lui voleva una punta che giocasse di sponda, io amavo andare in profondità. Così arrivò Luca Toni al posto mio. Al di là di questo, però, Roberto è una persona squisita, umile. Noi eravamo il Brescia degli operai, e quando arrivò lui – uno che fino al giorno prima vedevi solo in tv – fu impressionante. Aveva un’umiltà fuori dal comune, e si inserì nel gruppo come se fosse lì da dieci anni. Stare vicino a lui era come allenarsi accanto al proprio idolo: ti dava soggezione, avevi paura di sbagliare qualcosa, ma ti insegnava senza parlare".
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