Il dramma di Paul Scholes, l'ex United lascia la tv per seguire il figlio: "Problema grave"
L'ex calciatore del Manchester United ha raccontato nei dettagli la vicenda del figlio Aiden, che a breve compirà 21 anni.

Paul Scholes ha deciso che non lavorerà più in tv. Una scelta personale perché ha intenzione di seguire a 360° il figlio Aiden, 20 anni, che ha diversi problemi. L'ex centrocampista, tra i migliori della storia - una vera e propria leggenda del Manchester United - ha svelato tutti i dettagli.
"Ho preso questa decisione quest'anno per lui, a causa delle sue esigenze particolari - ha detto Scholes agli ex compagni di squadra, Gary Neville e Roy Keane, insieme a Ian Wright e Jill Scott, durante il podcast Stick to Football - visto che non parla, non può parlare. Penso che capisca molto più di quanto pensiamo. Emette suoni, ma solo le persone a lui vicine capiscono cosa sta dicendo. È autistico ed è un autismo molto grave. Tutto il lavoro che faccio ora si concentra solo sulla sua routine perché ne ha una piuttosto rigida ogni singolo giorno. Quindi, ho deciso che tutto ciò che farò sarà incentrato su Aiden".
"Non sto più con Claire (l'ex moglie con cui ha avuto anche Alicia e Arron, ndr), ma lo teniamo tre sere a testa, e la mamma di Claire lo accudisce il venerdì sera. Facciamo sempre le stesse cose con lui perché non sa che giorno della settimana sia o che ora sia. Ma capisce da quello che stiamo facendo che giorno è. Io lo prendo ogni martedì e andiamo a nuotare. Adora nuotare, poi compriamo la sua pizza di ritorno a casa. Il giovedì vado a prenderlo, andiamo a mangiare qualcosa e torniamo a casa. La domenica lo trovo a casa di Claire e andiamo da Tesco, dove compra un carrello pieno di cioccolatini. Compirà 21 anni a dicembre".
Da qui la decisione di lasciare la tv: "Tutto quello che farò ora ruota attorno a lui, lavoro in studio, ma tutto è costruito attorno alla sua giornata. La scorsa stagione, il giovedì sera, facevo la partita di Europa League per il Manchester United, ma quella è la sera in cui di solito lo vedevo. Quindi, si agitava, mordeva e graffiava. Pensavo sempre che prima o poi avrei dovuto smettere. Ho avuto l'opportunità di fare il podcast e ho pensato che sarebbe stato più adatto a me. O meglio, non a me, ma ad Aiden".
Poi la ricostruzione del problema: "I dottori non gliel'hanno diagnosticato fino ai due anni e mezzo. Ma si capiva subito che qualcosa non andava, ma poi è arrivata la diagnosi e io non ne avevo mai sentito parlare. Non sapevamo cosa ci aspettasse: ci sono bambini che non parlano a un anno e mezzo o due, e poi a cinque o sei anni, all'improvviso, parlano. I medici la chiamano una fase avanzata dello sviluppo, ma noi sapevamo che non sarebbe mai andata così. Ricordo la prima partita dopo aver ricevuta la notizia, giocavamo in trasferta contro il Derby, e non volevo proprio essere lì. Mi ricordo che il manager (Ferguson, ndr) mi ha lasciato fuori squadra la settimana successiva, ma non avevo ancora detto a nessuno cosa era successo. L'ho fatto solo qualche settimana dopo, perché era molto difficile da dire".
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