Stadio Napoli: un sogno che costa 300 milioni. L'unica strada possibile per realizzarlo è il "Project Financing"
Imperatore Consulting ha realizzato una simulazione divulgativa sull'ipotesi di un nuovo stadio per il Napoli: costi, flussi, sponsor, project financing. Senza una regia finanziaria coraggiosa l'impianto resterà un sogno.

E' da tempo che sostengo, dati alla mano, che un nuovo stadio per il Napoli sia oggi un’illusione. Non per mancanza di idee, di volontà politica o di suggestioni architettoniche, ma per una ragione molto più concreta: i soldi. Con i costi lievitati a oltre 240 milioni di euro — come già riportato su queste colonne — pensare di costruire un impianto di proprietà basandosi solo sulla narrazione continua, tra rendering, proclami e ipotesi vaghe, della inadeguatezza dello stadio Maradona. Ma la realtà, quella vera, sta altrove: l’unica alternativa concreta per costruire un nuovo stadio a Napoli è il project financing, con il coinvolgimento di un grande sponsor disposto a metterci il nome, il capitale, la faccia.
Il Project Financing
Il project financing ("finanza di progetto") è un meccanismo molto semplice da spiegare, ma complesso da realizzare: un soggetto privato (tipicamente una società veicolo costituita ad hoc) anticipa i capitali per progettare, costruire e gestire un’opera pubblica o privata — in questo caso lo stadio — in cambio della possibilità di incassare i ricavi generati dall’impianto per un certo numero di anni. Questi ricavi possono derivare da: vendita dei biglietti, affitti di spazi commerciali, parcheggi, eventi, hospitality, naming rights, ecc. In questo modo, il club calcistico non deve sborsare direttamente centinaia di milioni di euro ( e capitalizzare la società), ma accetta di "pagare" nel tempo, rinunciando a una parte dei profitti futuri, pur beneficiando subito di una struttura moderna.
Per rendere il progetto credibile agli occhi di banche e investitori, però, serve una garanzia forte. Ed è qui che entra in gioco il naming sponsor, ovvero un’azienda disposta a legare il proprio nome allo stadio per un periodo medio-lungo (di solito 10–20 anni) in cambio di una cifra importante. È successo a Torino con l’Allianz Stadium (Juventus), a Monaco di Baviera con l’Allianz Arena, a Londra con il Tottenham Hotspur Stadium (sponsorizzato da numerosi partner commerciali in attesa di un naming definitivo), a Udine con la Dacia Arena. In tutti questi casi, il contratto di naming rappresenta un asset finanziario, cioè una voce certa e garantita da inserire nel piano economico per ottenere prestiti, emettere obbligazioni o attrarre equity privato.
Il naming sponsor
Ma quanto vale un naming sponsor? Dipende da vari fattori: notorietà del club, numero di tifosi, visibilità internazionale, location, possibilità di utilizzo dell’impianto anche per eventi extra-calcistici. I dati disponibili mostrano una forchetta ampia. Allianz paga circa 6 milioni l’anno alla Juventus per il naming dello Stadium (accordo 2017–2030, per un totale di 66 milioni). La stessa Allianz Arena di Monaco ha avuto contratti simili, anche se il Bayern è nel frattempo diventato proprietario al 100% dell’impianto. Il Tottenham, che ha speso oltre 1 miliardo di euro per il suo impianto, ha stimato un valore del naming sponsor tra 20 e 25 milioni di sterline l’anno, anche se finora non ha ancora chiuso un accordo definitivo.
Per uno stadio a Napoli — città iconica, tifoseria globale, visibilità televisiva elevata, 50.000 posti potenziali — un contratto di naming potrebbe valere tra i 4 e i 10 milioni di euro l’anno, a seconda del brand coinvolto e della durata. In un orizzonte di 10–15 anni, significa un contributo totale compreso tra 40 e 150 milioni, pari al 15%–50% del costo complessivo stimato per la costruzione. Non sono "noccioline", ma nemmeno copertura totale. Il naming sponsor non “paga” tutto lo stadio, ma ne rappresenta il primo pilastro: un impegno forte, visibile, bancabile. Senza di esso, il project financing difficilmente si regge.
A questo si devono aggiungere gli altri flussi attesi: ricavi da partite, hospitality, eventi, concerti, retail, parcheggi. In assenza di queste entrate — o se il club non ne ha il controllo diretto — l’intero modello crolla. È anche il motivo per cui De Laurentiis insiste da anni sul controllo gestionale completo del futuro impianto: senza quella leva, il progetto perde senso finanziario.
Il Napoli ha due alternative
E se un club come il Napoli non può permettersi oggi di investire 250 milioni in autonomia (e non può), le alternative sono due: o resta nell’attuale Stadio Maradona ristrutturato con i soldi pubblici (cioè i nostri), oppure struttura un piano di project financing con un soggetto privato e un naming sponsor. Terza via non c’è. Le istituzioni non hanno fondi, il club non ha liquidità sufficiente, gli investitori pretendono numeri. E il naming sponsor — da Allianz in giù — accetta di mettere la firma solo su progetti credibili, non su power point.
In conclusione, per costruire uno stadio nuovo a Napoli servono almeno 250–300 milioni di euro, una struttura finanziaria solida con equity iniziale (club + sponsor), un contratto di naming già sottoscritto e una gestione integrata dei ricavi. Il project financing è l’unica via percorribile: senza sponsor, senza numeri e senza governance, resta solo una maquette da esibire.

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