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Napoli-Roma: non fu Bagni a rompere il gemellaggio, ma i tifosi romanisti

Angelo Forgione per AreaNapoli.it ripercorre la storia della nascita della acerrima rivalità tra tifosi romanisti e napoletani.


Angelo ForgioneAngelo ForgioneGiornalista e scrittore

09/01/2023 14:59 - Altre notizie
Napoli-Roma: non fu Bagni a rompere il gemellaggio, ma i tifosi romanisti

Scontri tra i tifosi di Napoli e Roma sulla A1, forse un appuntamento per venire a contatto dopo i fatti del 2014 che comportarono la morte del napoletano Ciro Esposito e la condanna del romanista neofascista Daniele De Santis. I rapporti tra le due tifoserie appaiono insanabili da allora, precipitati dopo un trentennio di offese e rivalità, figlie della rottura di un gemellaggio meraviglioso sancita nei secondi anni Ottanta, quelli del grande Napoli di Maradona e del popolo azzurro gioioso dopo anni di bocconi amari in cui era stata la Roma a contendere il titolo alla Juventus. Con l’arrivo di Dieguito in maglia azzurra, gli equilibri erano mutati e il Napoli, non più cenerentola del campionato ma squadrone in lotta contro le strisciate del Nord, puntava allo scudetto anche con la bandiera laziale di Bruno Giordano, ingaggiato nell’estate del 1985 e già amato dai tifosi partenopei. L’odio per l’ex laziale fu decisamente più forte della simpatia coi napoletani, e quel trasferimento determinò la rottura dell'amicizia. Fu di fatto lui il vero pomo della discordia, e non Salvatore Bagni, sulle cui spalle è stata caricata tutta la responsabilità della frattura. Autore del gestaccio dell’ombrello alla fine dell’incontro dell’Olimpico nella stagione 1987-88, “Tore” continua a scusarsene ancora oggi, anche se lo inscenò quando il gemellaggio era già rotto di fatto, ed era già tramontata la bellezza del “derby del Sole”, una festa tra scambi di bandiere, sfilate sulle piste d’atletica degli stadi delle due città, grida del nome dell’avversaria durante gli incontri in cui fiumi di romani erano giunti festanti a Napoli e la marea napoletana era salita a Roma ostentando serenamente i propri colori.


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La storia fa chiarezza sull’origine della frattura tra le due tifoserie dall’identità territoriale più radicata, partendo da un antefatto sanguinoso degli anni Settanta, al quale è però seguito il gemellaggio più bello e colorato della storia del calcio italiano.

2 dicembre 1973: il diciassettenne napoletano Alfredo Della Corte, esultante per la vittoria dei partenopei all’esterno dello stadio Olimpico di Roma, viene colpito da due colpi di pistola calibro 22 mentre sventola una bandiera azzurra e grida «Forza Napoli». Si salva solo per una fatalità: ha la bocca chiusa. Uno dei due proiettili gli frantuma nove denti e si ferma nella mascella, dopo aver evitato per un centimetro la giugulare. 

26 ottobre 1986: il Napoli, quello che avrebbe vinto il primo storico tricolore, giunge a Roma con il solito seguito di sostenitori. La Roma non è più la forte squadra da scudetto di qualche anno prima. Valori capovolti, anche grazie al contributo di Bruno Giordano, un laziale purosangue. Previsto il rituale gemellaggio con scambio di vessilli e giro di campo, ma dalla Curva Sud si alzano cori contro Giordano, già beniamino dei partenopei. Dalla Nord, che accoglie i tifosi ospiti, parte una timida risposta per le rime indirizzata alla bandiera romanista Bruno Conti. È la prima crepa tra le due frange. La partita scivola via serenamente, dentro e fuori dal campo, nonostante l’intera posta portata a casa dal Napoli con un goal di Maradona, imbeccato proprio da Bruno Giordano.

25 ottobre 1987: 364 giorni dopo l’apertura della crepa, il Napoli torna all’Olimpico fregiato di tricolore sulle maglie. L’armonia tra le tifoserie è ormai compromessa, e i romanisti tendono una trappola ai napoletani durante la celebrazione della recente amicizia prima della partita. I due portacolori s’incontrano nel cerchio di centrocampo e iniziano a correre verso la Curva Nord, occupata dai napoletani che urlano “Roma… Roma…”. Poi verso la Sud romanista, ma il portabandiera napoletano non sente partire il coro “Napoli… Napoli…”, e viene mandato platealmente al diavolo con un gesto inequivocabile, dando il via a inaspettati e sonori fischi della marea giallorossa e al lancio di oggetti verso il malcapitato. Il tifoso azzurro batte in ritirata, riportando indietro la sua bandiera, mentre i napoletani, ignari di cosa sia realmente accaduto dall’altra parte dello stadio, continuano a inneggiare alla Roma. Non comprendono lo sgarbo finché non gli viene comunicato dallo sfortunato portacolori azzurro.

In partita, al goal del vantaggio giallorosso di Pruzzo partono gli insulti dei napoletani verso gli ex amici romanisti. La tensione sale, e le espulsioni di Careca e Renica l’acuiscono. In 9 contro 11, l’insperato pareggio di Francini con un’inzuccata su corner di Maradona fa esplodere la tifoseria partenopea. Segue, a fine gara, tutto il più volgare sfogo di Salvatore Bagni. Carico di adrenalina, il guerriero azzurro si stacca dai compagni, che vanno verso la Nord a donare ai tifosi le sudatissime maglie, e si reca sotto la sotto la Curva Sud romanista per mostrare il gesto dell’ombrello. Apriti cielo!

8 ottobre 1989: durante un Roma-Napoli disputato allo stadio Flaminio per l’indisponibilità dell’Olimpico, in rifacimento per i Mondiali italiani, i cori razzisti dei romanisti, ormai allineati alle più aggressive tifoserie nordiche, si alzano forti esattamente il giorno dopo una storica marcia antirazzista per le strade della Capitale, la prima grande manifestazione nazionale contro il razzismo in Italia (duecentomila partecipanti) promossa dopo l’omicidio di un immigrato africano avvenuto due mesi prima, alla quale hanno aderito formalmente anche i calciatori del Napoli, del Milan e dell’Inter, oltre al sindacato dei calciatori. Ora anche per i tifosi della Roma i napoletani puzzano e meritano una vesuviana lavata ardente. L’imbarazzo è enorme, al punto da spingere la FIGC a introdurre la “discriminazione territoriale” nel Codice di Giustizia sportiva. 

8 luglio 1990: due mesi dopo la vittoria dello scudetto da parte del Napoli di Maradona, il secondo, nel giorno della finale del Mondiale italiano, l’odiato capopopolo dei napoletani e carnefice della Nazionale italiana in maglia albiceleste guida la sua nazionale contro la Germania dei romanisti Voeller e Berthold. Alla vigilia della finalissima, rientrata la Selección nel ritiro di Roma, a Trigoria, è stata strappata la bandiera argentina sul pennone, accanto alla quale sono state issate quelle della Roma e d’Italia. Dieguito viene ricoperto di fischi dal pubblico dell’Olimpico durante l’esecuzione dell’inno argentino e rivolge il famoso «hijos de puta» ai romani e agli italiani tutti. Sempre tra incessanti fischi, deve accontentarsi della medaglia d’argento e lasciare in lacrime il trofeo ai tedeschi, aiutati dell’arbitro messicano Codesal.

10 giugno 2001: il Napoli, in grave crisi societaria e tecnica per gli sforzi compiuti nell’era maradoniana, riceve la Roma di Totti, Batistuta e Montella, vicinissima allo scudetto. La squadra capitolina può vincerlo al San Paolo, mandando gli Azzurri in Serie B. Prima della gara, gli ultrà di casa prendono a sassate il pullman della Roma e la Polizia ai cancelli della Curva A, mentre si scontrano con i tifosi romanisti.

Dopo la partita, gli ultrà giallorossi scatenano la loro rabbia per il pareggio fuori dallo stadio. Sassi e bottiglie contro i lacrimogeni della Polizia che li scorta verso la stazione ferroviaria di Campi Flegrei. Un tragitto di poche centinaia di metri funestato dalle auto bruciate e dagli scooter rovesciati, nel panico generale. Arrivati alla stazione, la furia dei romanisti si scatena contro le strutture, e gli scontri divampano con alcuni ultrà napoletani che hanno atteso i romanisti sul posto. È una battaglia con lanci di pietre, manganellate, vetri rotti, quadro del comando del traffico ferroviario danneggiato. Treno dei giallorossi devastato, non senza che venga tirato il freno di emergenza a Formia per scatenare un’altra sassaiola. Il bilancio è di sette accoltellati, una sessantina di feriti, compreso un ragazzo vittima di un lancio di bottiglie fra tifosi laziali e romanisti alla stazione Termini di Roma.

31 agosto 2008: la prima giornata di campionato prevede un delicatissimo Roma-Napoli. Da oltre un anno, dopo la morte dell’Ispettore Raciti a Catania, la maggior parte delle trasferte sono vietate, molte gare si disputano senza tifosi e strumenti come tamburi e megafoni sono banditi dagli stadi. In controtendenza a tutto ciò, il Ministro dell’Interno, il leghista Roberto Maroni, apre Roma-Napoli ai tifosi ospiti, che acquistano oltre tremila tagliandi in prevendita.

Sin dalle prime ore del mattino, radio e televisioni focalizzano la propria attenzione sui napoletani che caricano la Polizia, aggrediscono il personale di Trenitalia per non pagare il viaggio, distruggono il treno, malmenano gli operatori televisivi e seminano il panico a Roma.

Ai tifosi partenopei vengono vietate le trasferte per tutta la stagione, e dopo un anno viene istituita per tutti la tanto contestata tessera del tifoso, invenzione di Maroni, prima che una faticosa indagine sulle presunte devastazioni individui le responsabilità di Trenitalia e appuri indirettamente una montatura mediatica sulla pelle dei napoletani con il fine unico di inaugurare la stagione dei divieti repressivi e sistematici nei confronti dei tifosi italiani voluti dallo stesso Maroni.

3 maggio 2014: nell’immediata vigilia della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, il ventinovenne tifoso napoletano Ciro Esposito, ragazzo semplice e appassionato, viene gravemente ferito all’esterno dello stadio Olimpico da un proiettile artigianalmente modificato. Un agguato premeditato a un torpedone dei tifosi del Napoli pieno famiglie con bambini, bersagliato con il lancio di materiale esplosivo da un gruppo organizzato composto da De Santis e altri quattro uomini con caschi integrali in testa. Urla e panico smorzati dall’intervento di alcuni napoletani di passaggio per mettere in fuga gli aggressori romani. Nella violenta colluttazione, esplosi cinque colpi in rapida successione da Daniele De Santis, un ex militante della curva romanista appartenente ad ambienti di destra estrema, sostenitore di una squadra estranea alla partita da disputare, già notissimo alle forze dell’ordine, in quel momento assolutamente insufficienti. Tre i feriti, il più grave è Ciro, perforato nel polmone da un proiettile che gli spezza la quinta costola e si ferma alla colonna vertebrale. Dopo cinquantadue giorni di ripetuti interventi chirurgici, disperazione e agonia, il giovane muore in un letto del Policlinico Gemelli per il razzismo di stampo neofascista di un soggetto condannato a 16 anni di pena reclusoria, appartenente alla tifoseria romanista e che dalle frange estreme del tifo romanista riceverà sostegno.

Si arriva così agli scontri sull’autostrada dell’8 gennaio 2023, espressione dell’ottusità di un certo mondo del tifo che è interprete delle becere pulsioni del Paese dei mille campanili.


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Angelo ForgioneAngelo Forgione
Giornalista e scrittore, autore perlopiù di saggi di cultura, costume e storia di Napoli e del Meridione. Appassionato napoletanologo e studioso dell'idioma napoletano, è anche grafico pubblicitario.

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