Ziliani punge: "Azzurri trasformati in tanti Tony Dallara, ma la verità è solo una"
Paolo Ziliani, giornalista, ha parlato di alcune tematiche che riguardano la Nazionale attraverso i suoi canali social.

L'Italia versa in condizioni calcistiche disastrose e il risultato è una Nazionale senza estro, con poca tecnica e non si guarda in faccia la realtà dei fatti. I giocatori fanno fatica contro qualsiasi squadra e il 4-1 subito dalla Norvegia a San Siro lo dimostra chiaramente.
Paolo Ziliani, giornalista, ha parlato così del momento che stanno vivendo gli Azzurri, attraverso i suoi canali social: "Detto in parole povere: a me piaceva, emozionava e comunicava di più la tensione forte, quasi parossistica, eppure trattenuta e visibile solo a fior di pelle espressa dai volti fissi e muti dei giocatori di un tempo; e apprezzo molto meno l’inno cantato a squarciagola dagli azzurri del nuovo millennio, a occhi sbarrati e a visi spiritati, in una trance di cui spesso (a differenza di allora) non si ritroverà poi, in partita, la benché minima traccia".
Ha, poi, evidenziato: "Ho sempre considerato bello, giusto e spontaneo che a intonare gli inni negli stadi fossero i tifosi; ho sempre considerato forzato, o comunque non necessario, che a esibirsi nello show fossero i giocatori, in particolare quando a intonare l’inno di Mameli toccava a Camoranesi, Eder, Jorginho, Toloi, Retegui e a tutti i sudamericani naturalizzati italiani per convenienza (della nazionale oltre che loro) ai quali all’età di 25/30 anni veniva chiesto di italianizzarsi e commuoversi e palpitare al cospetto del tricolore e al risuonare dell’appello “stringiam’ci a coorte".
"Non so perché, ma pensare a Scirea che si abbandona improvvisamente al canto, a Bruno Conti che canta “Dell’elmo di Scipio / s’è cinta la testa” o a Zoff che posseduto dallo spirito di Bonucci esplode in “Siam pronti alla morte / l’Italia chiamò” mi fa sentire male; li avessi visti farlo, il loro mi sarebbe apparso un comportamento contro natura. E alzi la mano chi a quei tempi non avrebbe pensato la stessa cosa e chi non apprezzava, invece, la loro imperturbabilità che trasudava tensione, concentrazione e - perché no? - anche patriottismo puro."
"È forse per questo, per il fatto di aver visto per decenni i giocatori della nazionale, monumenti veri, restare muti, concentrati e impassibili al momento degli inni, che vedere gli azzurri della new age trasformarsi dall’oggi al domani in tanti Tony Dallara (per i non boomer: il cantante di Campobasso, tuttora vivente, soprannominato “L’urlatore” che discostandosi dal cliché della melodia italiana del tempo ebbe grande successo negli anni ‘60) a me non è mai piaciuto: mi ha dato anzi quasi fastidio. Forse l’essermi emozionato innumerevoli volte scrutando i volti tirati di Tardelli e di Claudio Gentile e poi di Maldini e di Roberto Baggio mi ha impedito di mettermi al passo coi tempi: quelli di oggi, quelli delle emozioni che vanno invece mostrate, ostentate, scansionate e condivise con l’universo mondo; e se non lo fai magari ci scappa l’interrogazione parlamentare dell’onorevole bacchettone che accusa gli azzurri di scarso amore per la Patria (naturalmente con la P maiuscola)".
Ma la verità, secondo Ziliani, è che nonostante si canti l'inno di Mameli a squarciagola, i giocatori poi non entrano con la stessa aggressività in campo: "Ripeto, è sicuramente un mio limite, un mio essere fuori dal tempo. Detto questo, e rifacendomi a Tony Dallara che entrò nella leggenda cantando “Come prima / più di prima / t’amerò”, aggiungo in conclusione che è un vero peccato che nel vedere oggi Buffon e Bonucci - e i giocatori con loro - cantare da urlatori l’inno di Mameli i miei sentimenti nei confronti della nazionale invece di irrobustirsi si affievoliscano: e tutto mi venga da pensare tranne che “come prima / più di prima / t’amerò”. Per me (e non solo per via dell’inno) vale invece il “più di prima /meno di prima / t’amerò".
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