Marra: "Conte soluzione ad un mistero. La Patria di Lukaku e la polifonica post Kvara"
"Il Maestro Conte sa che per trionfare non basta una composizione melodica, ma deve scrivere il libretto di un'opera maestosa e memorabile", spiega Marra.

Bruno Marra, giornalista e scrittore, è da sempre uno dei custodi della vera napoletanità. E nei suoi libri, "BruNapoli" su tutti, accompagna i lettori - che diventano essi stessi protagonisti - in un viaggio a più dimensioni e direzioni in cui più che capire si finisce per assorbire. Marra ha rilasciato un'intervista ad Areanapoli.it.
Bruno Marra è in barca con Hemingway o sulla Prospettiva Nevskij con Gogol? "Ah però, iniziamo subito col basso profilo. Allora è evidente che faccio benissimo a definirti legittimamente Professore, come testimonia anche la mia agendina telefonica. Caro mio Prof, pur avendo avuto “Il vecchio e il mare” come uno dei primi libri in dotazione scolastica, persino in versione illustrata, devo ahimè abbandonare la barca di Hemingway, per due motivi. Soffro di mal di mare, oltretutto non so nuotare, ma soprattutto non mi appassiona il concetto di mare come espressione di profondità e libertà. Credo che la profondità salvifica la si debba cercare in noi stessi, non in confini distanti geograficamente. Pertanto preferisco passeggiare sulla terraferma con Gogol tra volti di personaggi improvvisi e variegati. Che poi è la caratteristica di buona parte delle mie serate solitarie. Amo girare e confondermi tra gente sconosciuta alla quale negli anni ho attinto e sottratto le vicende più interessanti e insospettabili del mio immaginario narrativo. Poi della Prospettiva Nevskij mi affascina il ruolo delle tenebre deformante e ipnotico. Mi fa pensare a una frase di Erri De Luca nel suo libro “Il giorno prima della Felicità” quando spiega magistralmente che “il giorno accusa, mentre lo scuro della notte ti dà l’assoluzione”. Credo che abbia perfettamente espresso il chiaroscuro che ciclicamente ci avvolge e ci rivela. L’ombra necessaria alla Luce. E viceversa.
Si può dire dunque che l'Igor Stravinskij che incontri è Antonio Conte?
"Come vedi non è un caso che si riverberi ancora il concetto di luce e ombra. Battiato ispirato dalla visione immaginifica di Igor Stravinskij scrive: “E il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire”. Che probabilmente è una delle frasi più icastiche di Battiato che risveglia la conoscenza quantica dopo l’incontro con Gurdjieff e il suo definitivo percorso spiritualista. Un concetto che traslato al Napoli rappresenta il cimento al quale si è offerto Conte, ovvero riportare l’alba nell’imbrunire deprimente della scorsa stagione. Sapendo benissimo che la difficoltà dell’impresa sarebbe direttamente proporzionale alla eventuale gloria. Antonio Conte si propone come soluzione al mistero del Principe Calaf, il revanscismo del nessun dorma, l’urlo liberatorio verso una nuova alba trionfale della Turandot. Più che nelle iperboli trascendenti di Stravinskij, Conte è vicino alla immanenza di Puccini, al verismo della dialettica minimale, drastica, genuina quanto diretta. Emblematico è il suo intercalare con il quale chiude quasi ogni sua dichiarazione, ovvero: “questo deve essere chiaro”. Lo ripete ossessivamente per sigillare ermeticamente a futura memoria i propri “comandamenti” invalicabili. Proprio a voler rafforzare la ricerca della linearità rispetto agli arabeschi formali dei clichè applicati al mondo del calcio. Per restare nella metafora musicale, Conte sa perfettamente che al suo Napoli, per vincere, non gli bastano le 7 note del pentagramma. E per questo da quando è arrivato è alla ricerca dei “diesis”, i tasti neri che conferiscono tonalità, variazioni e spessore più elevato allo spartito. In sintesi, il Maestro Conte è cosciente che per trionfare non gli è sufficiente una semplice composizione melodica, ma deve scrivere il libretto di un’opera maestosa e memorabile".
Da Vissi d'arte a Vissi di pallone, dal Trittico (scudetto) a Lucevan le stelle. Il concetto di un Napoli che brilla nel complesso senza sentire il bisogno di supereroi. La voglia di una vittoria in forma polifonica.
“Sventurata la Terra che ha bisogno di eroi”. Il concetto detiene una verità assoluta, ma nel calcio diventa invisibile agli occhi. Anzi il popolo è alla continua ricerca di eroi, sinanche presunti, per alimentare la propria voglia di idolatria. Noi napoletani ne rappresentiamo un esempio fulgido, ma siamo certamente legittimati dalla enormità karmica che ci è piombata addosso con l’avvento del vero e unico Supereroe del Pallone, il D10S che ancora oggi ci fa battere il cuore e che sempre sarà connesso con il nostro tessuto animico. Eppure dopo l’addio del Messia è arrivata la caduta dal Paradiso all’Inferno. Per vincere un altro scudetto abbiamo dovuto attendere 33 anni. Non a caso gli anni di Cristo. Sotto questo profilo, però, il Napoli attuale è totalmente avulso dal concetto di eroismo. Anzi per dirla tutta, un eroe ce l’ha e non va in campo. Non c’è alcun dubbio che se vincessimo il campionato, sulle bandiere, i vessilli e gli striscioni ci sarebbe la gigantografia di un uomo solo: Antonio Conte. Questa sarebbe la vera e pregnante diversità rispetto al passato: eleggere un allenatore come assoluto trascinatore, protagonista plebiscitario scelto dal popolo. Anche il terzo scudetto recente, che fu una meravigliosa creatura griffata Luciano Spalletti, ebbe però i propri simboli in Osimhen e Kvara. E sciagurati noi che sembravamo destinati a piangerli con lacrime amare da qui all’eternità. Addirittura la cessione di Kvara per molti rappresentava l’anticamera al fallimento tecnico di questa stagione. E invece la “polifonica” suona che è una meraviglia. Senza più solisti ma con un Direttore d’Orchestra che guida l’intera compagnia. Un leader popolare con alle spalle la spinta ancestrale della nostra Terra. Antonio Conte in prima fila può raffigurare il nostro Pelizza da Volpedo. Dalla insurrezione del Quarto Stato alla prospettiva del Quarto Scudetto…".
Paisiello sarebbe fiero di te. Anche Lukaku, da emarginato del calcio ormai da anni, ha trovato una Patria che lo ha accolto. Eppure non mancano "napoletani" che lanciano strali contro di lui. Frustrazione, incapacità di capire i momenti o decervel-lamento?
"La questione è che Lukaku ha rimescolato i canoni del centravanti ai quali i napoletani erano abituati. Non ha la grazia estasiante di un Caravaggio, ma la potenza inquietante di un Picasso. Lukaku non è un attaccante ripudiato, è semplicemente destabilizzante, soprattutto per coloro che vengono da Cavani, Higuain, Mertens e non se ne sono mai staccati intimamente. E poi giunse Osimhen. Anche lui all'inizio ha fatto fatica a farsi apprezzare. Alla fine nessuno ha cercato di comprendere veramente le sue caratteristiche con attenzione, semplicemente è stato Victor che ha divelto le porte e ha abbattuto ogni scetticismo prendendosi lo scettro di bomber. Rispetto a Lukaku dici benissimo quando parli di Patria. Finalmente ha smesso di essere un prestito apolide senza fissa dimora calcistica. Conte e De Laurentiis gli hanno conferito una fiducia motivazionale, dandogli una maglia con l'investitura triennale. Mentalmente significa avere una famiglia su cui puntare e non un Bed and Breakfast che in primavera dovrai tuo malgrado abbandonare. Quello che mi colpisce di Rom è la statura morale. Guardatelo dopo un gol: mai una esultanza smodata, mai una corsa solitaria verso la gloria. Eppure avrebbe diritto a qualche escandescente esuberanza a fronte di tante critiche. Ma lui non se ne cura, ha le spalle grosse in tutti i sensi e si comporta con nobiltà austera. Corre ad abbracciare i compagni come a volerli coinvolgere e rendere tutti partecipi, forma un cerchio di condivisione e gioia ecumenica. Lukaku è un leader carismatico di questo gruppo. Un punto di riferimento in campo e fuori, un obelisco sempre presente, un gancio in mezzo al cielo di baglioniana memoria al quale sai di poterti aggrappare anche nella tempesta".
Dal lirismo per la fine del vagabondare di Big Rom all'industria: lo United costruirà uno stadio da 100mila posti per riconquistare il mondo, a Napoli resiste con orgoglio il vecchio San Paolo a cui il massimo aggiornamento possibile è il cambio del nome in onore di chi ha conquistato con la fionda.
"Ecco hai detto giusto: il lirismo. E il lirismo purtroppo mal si piega al concetto di industria. Almeno per me è così. E’ un argomento che non mi appassiona, lontano non già solo dalla mia competenza, bensì distante dalla mia formazione culturale, più incline e ciecamente devota all’umanesimo che alla sedicente evoluzione. Una mia amica storica mi rinfaccia di essere non solo nostalgico ma addirittura prigioniero del passato, più precisamente degli Anni 80, per me inarrivabili e meravigliosi. Ed essendomi costituito fieramente e volontariamente ai migliori anni della nostra vita, sotto il profilo sportivo la mia Cattedrale resterà per sempre il San Paolo, vieppiù adesso che ha preso il battesimo di nostro Signore D10S. Certo, la possibile e auspicabile edificazione di uno Stadio nuovo dedicato esclusivamente al calcio, con una struttura polifunzionale, sarebbe certamente una risorsa importante e un focus pregnante per il planning programmatico di crescita di un Club, non foss’altro che sotto il profilo patrimoniale. Ma se spostiamo il discorso dalla redditività manageriale a quella strettamente tecnica, con l’equivalenza: Stadio nuovo uguale a più punti in classifica, beh io sono molto scettico a riguardo. Se tu hai appena acquistato una Fiat Punto di nuova generazione, full optional e turbo iniezione, ma di fronte hai una Macerati revisionata 30 anni fa, credimi arriva sempre prima la Macerati. La data di costruzione conta zero. Le corse si vincono col motore più potente non con la carrozzeria. Così come le partite si conquistano sul campo di gioco, non grazie alla aerodinamica ultramoderna dell’impianto. Mi rendo conto che la mia possa apparire una riflessione superficiale o impopolare. Però è difficile che qualcuno riesca a convincere del contrario uno che come me, dopo oltre un decennio di abbonamento in Curva B, ha visto 2 scudetti e una Coppa Uefa in uno Stadio fatiscente, senza sediolini e privo di copertura. Che se un poco in più pioveva, ti sentivi come Mosè nelle acque del Mar Rosso. Credimi Prof., l’unico comfort che conta per un tifoso è la vittoria. In tribuna ci puoi mettere anche due sale cinematografiche e la vasca idromassaggio Jacuzzi, l’unico balsamo che rende il popolo felice è vedere il Napoli trionfare".
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