Mercato Napoli: non si è potuto, non si è voluto o non si è saputo fare di più?
Analisi economico-finanziaria e manageriale (non tecnica) del mercato del Napoli di Vincenzo Imperatore, analista finanziario e consulente di management.

La chiusura della sessione invernale del calciomercato ha lasciato un senso di delusione tra i tifosi del Napoli. Ma questa delusione nasce da un’oggettiva impossibilità di fare meglio, da scelte strategiche della proprietà o dalla capacità (potere) negoziale della società? Analizziamo la questione sotto il profilo economico-finanziario e manageriale.
La prima domanda chiave è: il Napoli non ha potuto fare di più per limiti finanziari? Assolutamente NO! Secondo le stime di Imperatore Consulting, basate sull’analisi del bilancio al 30 giugno 2024 (argomentata su queste colonne) e sull’impatto economico delle operazioni di mercato estive ed invernali (così come ricostruite da Calcio&Finanza), la società dovrebbe disporre, allo stato, di una liquidità non inferiore ai 150 milioni di euro. La liquidità rappresenta i soldi che una società può usare subito, come il contante o il saldo nei conti correnti bancari. È fondamentale per coprire le spese giornaliere e per affrontare situazioni impreviste. Una buona liquidità dà sicurezza, perché permette di pagare stipendi, fornitori o altre spese senza dover ricorrere al debito. Un club con una solida posizione di cassa ha un vantaggio competitivo nel gestire sia il mercato che eventuali crisi economiche. Alla luce di questa situazione, non si può dire che il Napoli non avesse le risorse per investire in giocatori di spessore.
Il secondo interrogativo riguarda la volontà della proprietà di investire sul mercato: i De Laurentiis non hanno voluto investire per una precisa scelta strategica? Come abbiamo più volte ripetuto su queste colonne, negli ultimi sei mesi, si è assistito a un cambio di paradigma nel modello di business del Napoli rispetto a quello efficacemente adottato nell’ultimo ventennio: la nuova strategia (New Era) prevede di collocarsi tra i primi dieci club europei entro il prossimo quinquennio. L’essenza di un modello di business risiede nel modo in cui l’impresa fornisce valore ai clienti, invoglia i clienti a pagare per il valore creato e converte tali pagamenti in profitto. In sostanza il modello di business rappresenta l’architettura organizzativa e finanziaria di un’impresa. Le scelte strategiche, coerenti con il nuovo modello di business, hanno bisogno di investimenti. Gli investimenti hanno bisogno di capitali.
Per ritornare al caso concreto, il Napoli nei primi venti anni di gestione De Laurentiis, per essere coerente con il modello di business delineato (pensate alla coperta di Linus), ha basato la propria strategia su un player trading che garantisse plusvalenze e successi sportivi, privilegiando il marketing e trascurando gli investimenti nel settore giovanile e negli impianti.
Tuttavia, con l’ingaggio di Antonio Conte, il club ha segnato una svolta nel proprio modello di business, abbracciando una nuova visione che richiede investimenti mirati (aumento del tetto ingaggi, centro sportivo, stadio). L’arrivo di Conte, insieme a figure come Manna, Oriali e altri membri dello staff (il ricollocamento interno di Rea e Santoro e la conferma di ruoli fondamentali come Bianchini, Belli, Lombardo e Vallefuoco), testimonia questa volontà di cambiamento, di un diverso modo di concepire la creazione di valore. Ma, attenzione, se l’intenzione è quella di rientrare tra i top club europei, gli investimenti devono essere coerenti con l’obiettivo dichiarato. Perché l’arrivo di Antonio Conte è sia un segnale di ambizione sia una sfida perenne, dato che l’allenatore ha un’idea ben precisa di come deve essere costruita una società competitiva. Ogni sei mesi alza l’asticella degli obiettivi. Tuttavia, il mercato invernale ha fornito segnali contraddittori rispetto ai proclami della società perché gli acquisti effettuati, da squadra prima in classifica e con elevate probabilità di vincere lo scudetto, non sembrano all’altezza delle dichiarazioni rilasciate a giugno. Una scelta strategica giusta o sbagliata?
Per il momento, dobbiamo mettere in stand-by la risposta a questa domanda, perché solo i risultati potranno fornirne una chiara. Non si tratta solo di successi sportivi, ma anche del consolidamento dell'organigramma. Se il nuovo modello di business reggerà, con vittorie sul campo (per Conte il successo ha un solo significato!), un miglioramento del reddito operativo, investimenti mirati in giocatori di livello e la presentazione di un piano concreto per il Centro Sportivo e lo stadio, allora a giugno non ci sarà un'altra sorpresa come accaduto con Benitez, Ancelotti e Spalletti: Conte resterà. In caso contrario, si tornerà a una dimensione sicuramente dignitosa, ma ridimensionata, simile a quella dei primi vent'anni di gestione."
L’ultima domanda-chiave invece riguarda il saper fare mercato. Se il Napoli aveva le risorse e una strategia ambiziosa, allora la dirigenza ha saputo operare con efficacia sul mercato? Qui potrebbero entrare in gioco tre fattori:
a) l’inesperienza di Giovanni Manna, perché da Garnacho a Okafor, passando per Comuzzo, ci dovrebbero essere di mezzo almeno altri 4 nomi graditi da Conte.
b) la “cautela finanziaria” di Aurelio De Laurentiis, nonostante l’apparente disponibilità a investire fino a 50 milioni in questa sessione
c) la capacità attrattiva del Napoli, più che della città di Napoli, nei confronti dei giocatori di alto livello, con il club che ha faticato a convincere profili di spessore a sposare il progetto azzurro
La delusione dei tifosi è comprensibile, ma sarà il campo a determinare se la strategia adottata dalla società pagherà nel medio-lungo termine. Il rischio principale è che l’ambizione dichiarata non sia seguita da azioni coerenti, creando un disallineamento tra obiettivi strategici (quello che si dichiara) e operatività manageriale (quello che si fa).
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