Organigramma SSC Napoli, un esercizio immaginativo del nuovo modello organizzativo
Analisi e studio del modello organizzativo della SSC Napoli a cura della Imperatore Consulting, società di consulenza di direzione aziendale.

"Vuole fare tutto lui" e "dobbiamo strutturarci come le grandi società" sono frasi comuni rivolte ad Aurelio De Laurentiis dai presidenti per un’ora, spesso per criticare il suo approccio centralizzato. Ma quale modello organizzativo è veramente efficace per una società sportiva come il Napoli? Quello che funziona e porta risultati con il minor dispendio di energie economiche. Ecco la risposta che, dopo anni di studi e di esperienze sul campo, mi sento di dover dare ogni qual volta mi viene posta la domanda a seguito dell’analisi organizzativa di un’azienda. E le società calcistiche, non dimentichiamolo, sono pur sempre aziende.
In questo caso, dobbiamo cercare di essere equidistanti dalle elaborazioni teoriche così come dall’eccessivo pragmatismo. Pertanto, cercando di sintetizzare dottrina e praticità, possiamo affermare che nel mondo del calcio professionistico (non solo italiano) sono rintracciabili almeno tre modelli organizzativi basici dell’azienda calcistica:
1. classico-tradizionale;
Sono radicate localmente, basano la propria supremazia sui risultati maturati sul campo, prevedono una scarsa commercializzazione del loro spettacolo sportivo e non hanno ancora sviluppato, tranne rare eccezioni, le sinergie organizzative appropriate per poter cogliere le opportunità offerte loro dall’evoluzione del settore. Sono destinate quindi a subire la concorrenza delle altre società.
2. basato su dinastie imprenditoriali;
Basano il proprio successo su una gestione improntata al mecenatismo piuttosto che su un’organizzazione efficiente, guidata da un management capace di sviluppare politiche aziendali e meccanismi organizzativi innovativi. Queste società, sempre più rare, oltre a sfruttare poco le potenzialità derivanti dai diritti televisivi, dalle sponsorizzazioni e dal merchandising, non presentano nemmeno una struttura patrimoniale solida e politiche di bilancio accorte, precludendo soprattutto la possibilità di accedere al mercato borsistico e di promuovere altre iniziative profittevoli.
3. innovativo.
Questo modello prevede la traslazione dei concetti e degli strumenti della gestione aziendale non calcistica, con una struttura che valorizza la comunicazione interna ed esterna e un costante apporto di competenze e valori, dove la squadra diverrà solo una parte integrante di una strategia del gruppo dirigente,
Ovviamente la riduzione teorica di queste classificazioni non ci deve assolutamente ingannare, perché tante sono le strutture organizzative ibride che hanno alcune caratteristiche tipiche dei tre modelli basici e rappresentano quindi un esemplare ad hoc. Né più né meno, dunque, che in qualsiasi altro settore in cui diversi assetti organizzativi assicurano alle imprese il raggiungimento dei risultati economici positivi paragonabili, in termini sportivi, alla permanenza in Serie A o alla vittoria del campionato.
Il fattore critico di successo del futuro sarà quindi dato da una strutturazione della dimensione organizzativa che dovrà essere in grado non solo di adattarsi e di trasformarsi con successo di fronte alle nuove sfide della concorrenza, ma anche di anticiparle e di generare continui cambiamenti e innovazioni all’interno del mercato calcistico.
Ecco dove risiede l’elemento interpretativo del successo del nostro caro Napoli: la snellezza e la flessibilità organizzativa basata su competenze specifiche.
Basta pensare che, finora, il Napoli ha evitato (e anche questo è marketing) di cimentarsi in quell’esercizio stilistico, spesso inutile, che è l’illustrazione grafica dell’organigramma: uno strumento utilizzato per rappresentare il funzionamento generale dell’azienda e che permette di fruire di una visualizzazione chiara e schematica dei livelli gerarchici, dei ruoli dei dipendenti, dei processi nei diversi settori in cui è articolato il business.
Invece, sul suo sito il Napoli ha semplicemente evidenziato un elenco di nomi (scritti con caratteri grandi, Arial 28) con le funzioni ricoperte (caratteri piccoli, Arial 16). Qualcosa di meno formale (e forse più etereo) per sottolineare che sono le competenze e le skills dei professionisti che riempiono di know-how e valorizzano le funzioni, determinando i successi di un’azienda.
Ma qualcosa è cambiato nell’annus horribilis, una analisi approfondita degli errori compiuti ha probabilmente fatto metabolizzare alla proprietà che la New Era era un progetto forse partito con un anno di anticipo. Perché occorreva interiorizzare il concetto (e i relativi comportamenti) della gestione della vittoria che ti lancia in una dimensione diversa rispetto a quella, seppur di successo, dei primi venti anni. Una dimensione che comporta la rivisitazione del modello di business (di cui abbiamo scritto su queste colonne).
E quindi anche il modello organizzativo doveva essere adattato per entrare nella New Era. Gli acquisti di Manna, Oriali e Conte (con tutto il suo staff), il ricollocamento interno di Rea e Santoro e la conferma di ruoli fondamentali come Bianchini, Belli, Lombardo e Vallefuoco, mi hanno, deformazione professionale, fatto riflettere fino ad immaginarmi di disegnare il nuovo organigramma del Napoli che dovrebbe basarsi, ecco il fattore critico di successo, su determinati pilastri procedurali e organizzativi:
• assoluta preminenza del marketing (e quindi anche della comunicazione) nel disegno organizzativo;
In questo modo, si assiste a una divisione dei compiti e a una vera e propria specializzazione delle unità organizzative che porta il vertice aziendale a occuparsi delle strategie di comunicazione, gli esperti a controllare costantemente la domanda per avvicinare sempre più i messaggi e i prodotti aziendali alle esigenze della clientela e le aree funzionali a gestire operativamente i diversi pubblici. Anche nel calcio quindi i manager tuttologi producono solo disastri: occorrono specializzazioni e competenze.
• istituzionalizzazione dei diversi ruoli (ed esperienze) che concorrono a disegnare il network organizzativo;
L’elemento dell’istituzionalizzazione risulta invece necessario in quanto «rappresenta il passaggio decisivo ai fini della legittimazione di una leadership aziendale assolutamente inedita rispetto al tradizionale modello dinastico-industriale». Grazie all’enfasi posta sulla missione e all’implementazione di forti elementi simbolici quali lo spirito di squadra (intesa come azienda nel suo complesso, ivi compresi i giardinieri e i magazzinieri) e il carisma del leader si corre infatti il rischio di configurare la società calcistica secondo l’archetipo organizzativo del clan. La società azzurra ha strutturato una duratura rete organizzativa articolata su pochi livelli, specializzati e interdipendenti tra loro, tutti guidati da un centro costituito dal vertice aziendale.
• progressiva strutturazione di una vasta rete organizzativa.
In questo modo, si assiste a una divisione dei compiti e a una vera e propria specializzazione delle unità organizzative che porta il vertice aziendale a occuparsi delle strategie, gli esperti a controllare costantemente la domanda per avvicinare sempre più i messaggi e i prodotti aziendali alle esigenze della clientela e le aree funzionali a gestire operativamente i diversi pubblici. Anche nel calcio quindi i manager tuttologi producono solo disastri: occorrono specializzazioni e competenze.
Nessuno può mettere in discussione le competenze di chi gestisce i conti e redige il bilancio del Napoli (tra i migliori in Europa), nessuno può dubitare della qualità della area legal del Napoli (i contratti redatti dal Napoli ormai fanno scuola), nessuno può diffidare delle capacità commerciali e di marketing dei dirigenti del Napoli. Se poi tutta questa efficienza (repetita juvant) passa per un processo decisionale verticistico (chi decide è il duo De Laurentis - Chiavelli), poco importa: basta che funzioni e conduca ai risultati programmati.





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