Il Governo in aiuto di De Laurentiis: ma il tifoso è consapevole del costo sociale?
Il decreto "salva-calcio" potrebbe andare incontro alle esigenze di molti presidenti di Serie A, ma non bisogna dimenticare l'importanza del cittadino-tifoso che è prima di tutto un contribuente.

Il decreto "salva-calcio" che sta per essere approvato potrebbe rappresentare una svolta per il presidente De Laurentiis, facilitando la possibilità di sbloccare il progetto di un nuovo stadio o la ristrutturazione di quello esistente. Tuttavia, il provvedimento sta suscitando un ampio dibattito, non solo per la sua portata, ma soprattutto per le complesse implicazioni etiche ed economiche che porta con sé. Due sono i punti centrali che emergono e che alimentano un acceso confronto pubblico e politico.
Il primo riguarda la privatizzazione degli stadi, con il governo che propone di concedere piena libertà per la vendita delle strutture sportive a soggetti privati. Il processo prevede anche la possibilità di commissariare le amministrazioni comunali che si oppongano o che vengano considerate d'intralcio. Per Aurelio De Laurentiis, da sempre pragmatico uomo d’azienda, questa misura potrebbe rivelarsi una manna dal cielo, liberandolo dai vincoli della burocrazia locale e aprendo la strada a soluzioni più rapide ed efficienti.
Ma è il correlato aspetto economico a destare maggiore preoccupazione: le ristrutturazioni potrebbero infatti essere finanziate con fondi pubblici, creando una situazione in cui i profitti finirebbero nelle mani dei privati, mentre i rischi e i costi ricadrebbero sui contribuenti. Questo paradosso rischia di alimentare il malcontento, già diffuso, verso decisioni che sembrano favorire gli interessi di pochi a scapito della collettività.
Mi chiedo spesso: il tifoso del Napoli (o di qualsiasi altra squadra), accecato dalla passione per la propria squadra, riesce mai a considerare anche il proprio ruolo di contribuente? È consapevole che accettare indirettamente di pagare più tasse per finanziare la sua passione significa sacrificare risorse che potrebbero essere destinate ad altro?
Il secondo punto, altrettanto controverso, è la reintroduzione delle sponsorizzazioni di aziende legate al mondo dei giochi e delle scommesse. Dopo il divieto sancito dal decreto dignità, si apre ora la possibilità per le aziende del settore di tornare a finanziare le squadre di calcio, con l’unica condizione di destinare una parte dei proventi ad attività sociali mirate al contrasto della ludopatia. Questa misura, se da un lato viene presentata come una soluzione per generare nuove entrate per il sistema calcio, dall’altro è vista da molti come un incentivo mascherato al gioco d’azzardo, con potenziali conseguenze disastrose per le fasce più fragili della popolazione.
Cercando di assumere una consapevolezza sociale come cittadino-tifoso, evitando di limitarsi agli sfottò nei confronti dei calciatori delle squadre rivali affetti da ludopatia (come nel caso di Fagioli), vi chiedo: accettereste come sponsor della vostra squadra del cuore un marchio che, indirettamente, ha contribuito alla rovina di un vostro familiare ludopatico?
Il dibattito è acceso e pone al centro una questione fondamentale: trovare un equilibrio tra l’esigenza di rilanciare il calcio italiano e la necessità di salvaguardare l’interesse pubblico e sociale. Da un lato, le società calcistiche in difficoltà lottano per competere a livello internazionale; dall’altro, decisioni frettolose rischiano di avvantaggiare pochi privilegiati, ampliando il divario tra privato e pubblico e generando costi sociali significativi.
Il futuro del calcio italiano sembra legato a scelte che inevitabilmente alimenteranno polemiche, in un contesto dove l’etica e la sostenibilità dovrebbero avere un ruolo centrale nel guidare le decisioni.





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