Cosa succederebbe a Napoli con divisioni e conflitti se il club adottasse una formula di partecipazione popolare?
Dopo quello di indossare la maglia della squadra del cuore, il sogno a occhi aperti di ogni tifoso di calcio è quello di poter essere, anche solo per un giorno, il suo presidente.

Siccome la libertà di dire cavolate, indipendentemente dalle competenze, non è ancora un reato (mentre lo è dire cavolate offendendo) e i social network hanno amplificato la voce dei tifosi di calcio, zona-franca per antonomasia della libertà di espressione, in questi ultimi giorni, tralaltro parzialmente giustificato anche da alcuni comportamenti del Napoli, stiamo assistendo a un vero e proprio festival delle sciocchezze in merito alle vicende gestionali della società di calcio.
Dopo quello di indossare la maglia della squadra del cuore, il sogno a occhi aperti di ogni tifoso di calcio è quello di poter essere, anche solo per un giorno, il suo presidente. Quale tifoso non ha mai detto o pensato che al posto suo avrebbe fatto sicuramente meglio sul mercato, negli spogliatoi, nei rapporti con gli arbitri o con la Federazione?
Nel calcio professionistico, il legame tra tifosi e club è molto più profondo di una semplice passione per una squadra. Negli ultimi anni, questo legame, in alcuni paesi diversi dall’Italia, ha preso forme nuove e partecipative, trasformando i tifosi da spettatori a veri e propri protagonisti nella vita della società.
E se volessimo immaginare tali scenari a Napoli?
In questo contesto, va sottolineato che nella scorsa primavera il deputato Molinari ha presentato alla Camera un testo di legge che prevede una serie di punti innovativi per introdurre forme di partecipazione popolare nel calcio italiano.
Parliamo di concetti come partecipazione popolare, azionariato popolare e azionariato diffuso, termini che potrebbero sembrare simili ma che in realtà raccontano progetti diversi su come i tifosi possono influenzare il destino del loro club del cuore.
Cerchiamo di spiegarli in maniera semplice ma attraverso un gioco di ruoli: immaginiamoci cosa potrebbe succedere a Napoli se il Napoli, una volta terminata l’era De Laurentiis, adottasse una di queste soluzioni dando quindi spazio a tutti i “presidenti per un’ora” che, lontano dalle loro aziende in crisi (se non fallite) o certi del loro stipendio e delle loro inefficienze da “posto fisso” di lavoratori dipendenti, pontificano quotidianamente su managerialità e rischio di impresa.
Immaginiamo la partecipazione popolare come una grande famiglia che si riunisce per prendere decisioni insieme, senza però dover investire denaro. Qui i tifosi partecipano alle attività del club, come se fossero membri di un consiglio consultivo. Organizzano eventi, discutono le strategie, propongono idee per migliorare l’atmosfera dello stadio o per aumentare il coinvolgimento della comunità. Tuttavia, alla fine, la decisione finale spetta sempre alla dirigenza, che ascolta ma non è obbligata a seguire i consigli. È come se i tifosi fossero degli amici fidati, che aiutano con suggerimenti, ma non possiedono una vera e propria chiave per il club.
Ma cosa succederebbe a Napoli se in uno scenario del genere i tifosi fossero in disaccordo su una questione importante, come ad esempio il colore delle nuove maglie della squadra? Alcuni potrebbero voler mantenere i colori tradizionali, mentre altri potrebbero spingere per un cambiamento radicale. Senza un vero potere decisionale, queste divisioni potrebbero portare a tensioni e conflitti tra gruppi di tifosi, con accuse reciproche di non essere ascoltati. Alla fine, la dirigenza farebbe comunque la propria scelta, ma il sentimento di frustrazione tra i tifosi potrebbe sfociare in scontri verbali e, nei casi più estremi, anche fisici durante le partite.
L'azionariato popolare, invece, è come se questi amici decidessero di mettere mano al portafoglio per comprare insieme una parte del club. Ogni tifoso, piccolo o grande che sia, diventa un azionista, con la possibilità di sedersi al tavolo delle decisioni importanti. Qui il tifoso non è più solo un consigliere, ma parte della proprietà. Può votare nelle assemblee e influenzare realmente le scelte strategiche del club. Ad esempio, se il club vuole cambiare lo stemma o prendere una decisione su un giocatore chiave, i tifosi azionisti possono dire la loro e far pesare il loro voto. È un po' come essere un membro del consiglio di famiglia, con voce in capitolo sulle decisioni cruciali.
Tuttavia, c’è un aspetto importante da considerare. In molti casi, l’azionariato popolare si rivela essere una forma non del tutto democratica di pseudo-partecipazione. Se i tifosi possono acquistare un numero illimitato di azioni, chi ha più soldi finisce per avere più potere decisionale, creando un sistema in cui il controllo del club è nelle mani di pochi. L’unico vero azionariato popolare, quello davvero democratico, potrebbe esistere solo se il club fosse una Società Sportiva sotto forma di Società per Azioni (Spa), in cui ogni tifoso potesse acquistare una sola azione, o comunque un numero di azioni uguale per tutti. In questo scenario, tutti i tifosi avrebbero lo stesso peso decisionale, ma anche qui esiste un limite: le azioni di una Spa sono in quantità limitata (a meno che non si effettui un aumento di capitale). Questo significa che solo una parte dei tifosi potrebbe partecipare realmente, escludendo molti altri dalla possibilità di influenzare le scelte del club. È come organizzare una grande festa in cui, alla fine, solo pochi possono entrare, lasciando gli altri fuori dalla porta.
Immaginiamo che, nella nostra città, un gruppo di tifosi più facoltosi voglia imporre il proprio punto di vista sulla scelta del nuovo allenatore, mentre un altro gruppo, con meno risorse economiche, preferisca un’opzione diversa. La disparità di potere tra i due gruppi potrebbe facilmente portare a scontri, con i tifosi più ricchi che cercano di imporre la loro volontà, scatenando malcontento e rabbia tra gli altri tifosi, che si sentono esclusi e privati di una reale voce in capitolo.
L'azionariato diffuso, invece, è un'altra forma di partecipazione che, a prima vista, sembra coinvolgere molti, ma anch'essa ha i suoi limiti. In questo modello, il voto di un tifoso pesa in base al numero di azioni che possiede. Più azioni hai, più il tuo voto conta. Questo sistema non è inclusivo, perché chi può permettersi di comprare più azioni avrà più voce in capitolo. È come se in un condominio, il proprietario dell’appartamento più grande avesse più voti rispetto a chi possiede un piccolo monolocale. Questo riduce l'accessibilità e l'equità, lasciando la maggior parte dei tifosi con un ruolo marginale, senza la possibilità di partecipare attivamente.
In un tale scenario, immaginiamo una situazione in cui il club deve decidere se investire in un nuovo stadio. I tifosi con più azioni, che magari vedono solo il potenziale ritorno economico, votano a favore, mentre quelli con meno risorse, preoccupati per l'aumento dei costi dei biglietti e la possibile esclusione delle fasce più popolari della tifoseria, votano contro. Il risultato è che i tifosi più ricchi hanno la meglio, portando a profonde divisioni nella tifoseria. Gli scontri non si limiterebbero più alle discussioni nelle assemblee, ma potrebbero estendersi alle strade e agli stadi, con manifestazioni e proteste da parte dei tifosi più penalizzati.
Siete pronti a tutto ciò e a mettere mano alla tasca?
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