Spalletti e le sue "non-scelte" che celano un triste imborghesimento
Luciano Spalletti non riesce a creare un nuovo movimento per quanto riguarda la nazionale italiana. Manca il coraggio di una reale rifondazione. L'analisi di Alessandro D'Aria.

L’Italia di Spalletti, quella di una presunta e mal raccontata rifondazione che partirebbe dai giovani, quella del fallimento degli ultimi Europei, delle millantate scelte premianti, insomma l’Italia in cui non ci si riconosce e che dopo la vittoria, alquanto casuale bisogna dirlo, agli Europei del 2020, certificazione dell’ennesimo “Miracolo italiano”, ha collezionato le fallimentari esclusioni dalle ultime due edizioni della Coppa del Mondo, la cui ultima partecipazione risale al 2014, anche ieri, dopo un promettente inizio, ha deluso le aspettative, in verità nemmeno tante, facendosi rimontare in casa due reti da una Nazionale del Belgio rimaneggiata senza importanti elementi, unica attenuante l’essere rimasti in 10 per la scellerata espulsione di Pellegrini. Al netto della importanza davvero marginale di un torneo denominato Nations League la cui utilità in un momento storico di overdose di partite ufficiali che portano alla proliferazione di tossine e infortuni talvolta anche altamente pericolosi sfugge ai più, alcune considerazioni vanno fatte:
1. Manca il coraggio della reale rifondazione. Nell’anno zero, l’ennesimo vorremmo dire, di questa Nazionale deludente da 10 anni in qua, fatta eccezione per la parentesi del 2020, si disponeva a mio avviso della facoltà di ricominciare dai giovani, da quelli veri, magari lasciando parte della vecchia guardia a far loro da chioccia. Laddove si eccettui l’eccezione della sacrosanta convocazione del giovane classe 2004 Pisilli (complimenti a De Rossi per aver osato nel metterlo in campo subito), ci si chiede perché si continui ad insistere su determinati profili che poco giocano nei rispettivi club o che, peggio ancora, lo fanno con scarso profitto. Fagioli, Pellegrini, Raspadori appartengono a questa tipologia di scelte. Se una valenza può avere questa Nations League è proprio quella di poter servire per preparare una Nazionale giovane, per far fare esperienza a chi non può ancora averla, per costruire realmente qualcosa. Kayode, 2004 esterno della Fiorentina con valore di mercato ormai attorno ai 25 mln di euro; Cher Ndour, 2004 centrocampista centrale scuola Atalanta migrato al Psg dopo essere passato per il Besiktas; Della Rovere, trequartista 2007 scuola Cremonese ceduto al Bayern Monaco II; Pafundi, fantasista 2006 scuola Udinese in prestito al Losanna quotato già 11 mln di euro; Koleosho, ala destra classe 2004 in forza al Burnley valore attuale di 12 mln di euro; e ancora Casadei, centrocampista 2003 scuola Inter in forza al Chelsea, valore di mercato di 11 mln di euro; Camarda, attaccante classe 2008 del Milan Futuro, già quotato 10 mln di euro. E potremmo continuare…ecco, vorremmo chiedere al nostro Ct, che tanto abbiamo stimato per il lavoro straordinario svolto a Napoli, perché questi ragazzi non possono iniziare un percorso di crescita reale in Nazionale?
2. Ancora stonano le scelte in merito a giocatori che con il loro straordinario rendimento in campionato si starebbero da tempo meritando la convocazione nel nome della meritocrazia. Ci si interroga allora su quale sia la ratio delle convocazioni di questo ciclo tecnico. Si premia chi merita sudando in campo oppure si dà la precedenza alle scelte imposte da un sistema di gioco i cui vincoli ci paiono in tutta onestà anacronistici? In un calcio moderno che va verso la fluidità delle posizioni e delle funzioni in campo questa giustificazione sembra davvero convincere poco. In una squadra che pecca in qualità, soprattutto dalla trequarti a salire, non si spiegano le scelte fatte non solo nella campagna degli ultimi fallimentari europei, ma anche nelle ultime chiamate. Se infatti il Ct ha spiegato come Zaccagni, già penalizzato nell’ultima rassegna europea, abbia chiesto di non essere chiamato, davvero non si spiegano le reiterate non chiamate di un giocatore come Politano, il cui rendimento e la cui duttilità tattica ampiamente dimostrata da un paio di anni in qua, meriterebbero una chiamata. Così come non è concepibile l’esclusione di elementi come Chiesa e lo stesso Orsolini, gente capace degli uno contro uno, di saltare l’uomo e di creare superiorità numerica. E se la motivazione di queste scelte è nel cosiddetto “modulo”, ebbene allora siamo messi davvero male.
Per concludere, l’Italia sembra davvero non essere un Paese per giovani, questo è il messaggio davvero poco rasserenante che viene fuori all’indomani dell’ultimo fallimento della nostra rappresentativa agli europei, che avrebbe dovuto smuovere le acque e avviare una rivoluzione, parola che nella cultura del nostro amato Belpaese pare ormai essere stata espulsa dal vocabolario. Tristezza!!!





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