Il nuovo stadio del Napoli a Bagnoli? Il vulcanologo Mastrolorenzo dice "no". Poi consiglia: "Le aree dove costruirlo"
Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo e ricercatore dell'INGV, ai microfoni di AreaNapoli.it, ha parlato dei rischi della costruzione di uno stadio nella zona rossa dei Campi Flegrei.

Nei piani del presidente Aurelio De Laurentiis, c’è l’idea di abbandonare lo storico Diego Armando Maradona, che ha fatto da cornice ai trionfi di tre Scudetti, sei Coppe Italia, due Supercoppe italiane e 1 Coppa UEFA (ora Europa League), per allocare altrove uno stadio ex novo, con il quartiere di Bagnoli, in prima linea, come possibile destinazione. Tuttavia, i rischi sismici associati alla posizione della nuova struttura sono stati oggetto di discussione. È il caso dunque di accogliere, ai microfoni di AreaNapoli.it, un esperto come Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo e primo ricercatore dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), ospite abituale di canali televisivi scientifici quali National Geographic e Discovery Channel.
Professor Mastrolorenzo, ricordiamo che - contrariamente a ciò che si sarebbe portati a pensare - in una scala di pericolosità, lei ha sempre indicato il Vesuvio, per secondo, dopo i Campi Flegrei, non è così? "Esattamente. È una grande caldera che può generare eruzioni anche decine di volte più potenti del Vesuvio, pure di quella che distrusse Pompei, coinvolgerebbe - secondo l’attuale piano di emergenza – circa 500mila persone ma in base alle evidenze vulcanologiche, e alle simulazioni numeriche - mie e di altri esperti – potrebbe colpire tutta la popolazione residente nell’area metropolitana di Napoli. Quindi, almeno 3 milioni di persone".
Dovendo perimetrare idealmente l’area dal punto di vista vulcanologico, entro quali confini possiamo inquadrare i Campi Flegrei?
"La caldera dei Campi Flegrei, dove è prevista l'evacuazione in caso di eruzione imminente, è delimitata dalla collina di Posillipo ad est, dai Camaldoli a nord e da Monte di Procida a ovest e, inoltre, parte della caldera, è sommersa nel golfo di Pozzuoli. L’intera area della caldera, col comune di Pozzuoli, Monte di Procida, Bacoli e Quarto, oltre che parte del comune di Napoli e di Licola, sono inseriti nella zona rossa per l’eventuale evacuazione in caso di imminente eruzione".
Tra l’altro, lo scorso anno, è stata definita un’altra zona rossa, più ristretta, intorno a Pozzuoli.
"È relativa non a rischio vulcanico ma quello bradisismico – agli effetti prodotti sul patrimonio edilizio dal grande numero di terremoti e sollevamento del suolo di Pozzuoli – ed è estesa in un raggio di alcuni chilometri intorno a Pozzuoli, tra Bagnoli e Arco Felice, e comprende circa 85mila persone ed è quella considerata a più alto rischio bradisismico. Può avere scosse così forti che possono provocare gravi danni agli edifici".
Se proprio ci si intestardisse nell’edificare un nuovo stadio in zona rossa, quali sarebbero i criteri costruttivi da adottare?
"La struttura, per le sue caratteristiche, deve essere certamente antisismica, ma in pratica tutti gli stadi se ben costruiti lo sono, essendo degli anelli di cemento armato e acciaio, con grande elasticità, ma un impianto nei Campi Flegrei dovrebbe essere realizzato in modo tale da non risentire dell’effetto cumulativo di svariate migliaia di scosse in un lungo intervallo di tempo. Però, il problema fondamentale è che uno stadio comporta comunque un aumento del rischio per la concentrazione di decine di migliaia di persone, con tutte le conseguenze che ne possono derivare".
Dunque, cosa accadrebbe se si costruisse uno stadio a Bagnoli?
"Nell’eventualità di una costruzione di un impianto a Bagnoli, ancorché ben realizzato e capace di resistere ai fenomeni bradisismici, si verificherebbe la concentrazione di oltre 100mila persone, una quantità pari agli abitanti dell’intera circoscrizione di Bagnoli-Fuorigrotta, nella zona rossa dei Campi Flegrei, e in particolare in quella ristretta, per il rischio bradisismico. Ragion per cui, anche se per poche ore alla settimana, vai a raddoppiare la popolazione, nonché il numero di autoveicoli parcheggianti e circolanti, e quindi si creerebbe un pericolo in caso di emergenza sismica o vulcanica per il possibile intralcio ai soccorritori e alle eventuali evacuazioni. Tra l’altro è anche un’area "incassata" con un traffico spesso congestionato nelle ore di punta quindi difficile da evacuare, mentre già Fuorigrotta è fuori dalla zona rossa bradisismica ed è immediatamente collegata con le principali arterie stradali e autostradali. Inoltre, la giusta destinazione dell’area ex Italsider di Bagnoli, è quella di un parco urbano, che tra l’altro si potrebbe rendere utile come area di attesa di supporto alle attività della protezione civile per far sgomberare la popolazione in caso di crisi, anche tramite i possibili approdi che si trovano in quella zona e, allora, costruire lo stadio sarebbe un’ostruzione a tali attività".
Altro fattore può essere il panico nel momento di emergenza, certo lei stesso ha riferito che gli stadi ben fatti sono in grado di resistere ai terremoti, ma il panico può essere causa di grandi rischi?
"Per questo motivo è sempre, comunque, opportuno invitare alla massima calma durante le scosse e all’eventuale deflusso, seguendo le procedure di evacuazione stabilite, al fine di evitare il sovraffollamento sia sugli spalti che sulle scale e le possibili gravi conseguenze. In sostanza, costruire uno stadio in quel quartiere è certamente sconsigliabile".
Lo Stadio San Paolo (ora Maradona) ha ben sopportato il disastroso terremoto del 1980 che, comunque, nell’area napoletana si è manifestato in modo molto meno intenso rispetto alle zone epicentrali, nonché tutta la crisi bradisismica degli inizi degli anni '80.
"Ha sopportato tutte le fasi bradisismiche di quel periodo. Inoltre, durante le partite in cui giocavano Maradona, Careca e sodali, furono fatti rilievi sulle accelerazioni generate dalle fasi più intense del tifo degli spettatori sugli spalti, giacché molti abitanti del quartiere erano spaventati a causa delle ripetute vibrazioni. Studi sulla microsismicità sono stati condotti, evidenziando che durante le partite in trasferta c'era una particolare quiete sismica, mentre quando si giocava a Napoli si registrava una magnitudo fino a 2 gradi Richter o superiore, in particolare nella zona di Fuorigrotta, con epicentro lo stadio. Ciò suggerisce che il tifo generava sollecitazioni simili a un terremoto. Questa situazione è stata ovviamente riscontrata anche nello scorso campionato".
Che lei sappia, vi sono precedenti di costruzioni di questo genere su aree vulcaniche?
"Non esistono situazioni analoghe a quella napoletana, perché noi siamo nel caso particolare di una città dentro il vulcano e non vicino. Però, in genere, un principio fondamentale è di non fabbricarlo nelle zone rosse delle aree vulcaniche, poiché sia gli insediamenti privati che le opere di interesse pubblico comportano un aumento della popolazione in aree ad elevato rischio sismico e vulcanico".
Qual è la probabilità di attività vulcanica significativa in questa regione nel prossimo futuro? Cioè, pensa che vi sia stato un incremento della pericolosità rispetto al passato o le tecniche di analisi si sono affinate al punto da lasciar intravedere, oggi, rischi che, anzitempo, non erano misurabili?
"I sistemi di monitoraggio si sono parecchio affinati, però, non deve creare illusioni perché il sistema vulcanico è intrinsecamente caotico, dunque, non prevedibile e ritengo che non sia affidabile alcuna previsione, con adeguato anticipo – un’eruzione dei Campi Flegrei – visto che non abbiamo esperienze pregresse. Purtroppo, verificheremo l’affidabilità dei nostri modelli e delle nostre ipotesi soltanto nella malaugurata eventualità di un’eruzione, poiché ci darebbe la risposta ai tanti modelli che non abbiamo mai avuto dalle precedenti eruzioni. Di fatto, le ultime eruzioni esplosive, di portata media, sono avvenute oltre 3mila anni fa, mentre l’unica eruzione avvenuta in epoca storica, è quella del Monte Nuovo, del 1538 – che tra l’altro è fra le più piccole di Campi Flegrei – ed è l’unica per la quale disponiamo di qualche cronaca storica".
Quindi, in realtà, non è migliorata la vostra capacità di prevederle?
"No, ma possiamo rivelare terremoti, deformazioni del suolo, variazione nella composizione dei gas e dell’accelerazione di gravità fino all’ultimo secondo ma non possiamo fare previsioni per il futuro neanche prossimo".
Come affermò in una passata intervista, sarebbe "come infilare uno spillo sotto un materasso".
"Proprio così. Infatti, la risalita del magma potrebbe essere molto insidiosa e non facilmente rilevabile in superficie, sarebbe un po’ come appunto uno spillo sottile che attraversa un materasso, che percepiremmo soltanto quando raggiunge la superficie, ma sarebbe troppo tardi perché l’eruzione è già in atto. Lo strato di roccia, negli ultimi chilometri, maschera ciò che accade in profondità. Il movimento del magma può essere anche asismico, ovvero avviene senza causare terremoti di grande magnitudo, quindi potrebbe sorprenderci e metterci di fronte a due possibilità: mancato allarme, nel senso che non interpretiamo i segnali come precursori di un'eruzione; oppure falso allarme, quando lo lanciamo ma l'eruzione non si verifica. Entrambe le situazioni sono critiche, mentre la probabilità di un allarme efficace, che ci consenta l’evacuazione in sicurezza della popolazione, probabilmente può essere valutato tra il 10 e il 20%: troppo poco, data l’entità della popolazione esposta".
Ma, allora, qual è la soluzione?
"In caso di eruzione, spostare la popolazione a una distanza di almeno venti chilometri dalla zona eruttiva del vulcano. Dato che si tratta di un vulcano giovane, è probabile che si verifichino numerose eruzioni di rilevanza anche considerevole, ma non è possibile prevedere quando avverranno. Nei piani di emergenza, si ipotizza che il sistema di monitoraggio possa fornire almeno 72 ore di preavviso, che è il minimo necessario per evacuare la popolazione verso altre regioni. Tuttavia, non è garantito che avremo a disposizione un lasso di tempo ragionevole. Pertanto, come sostengo da molto, è importante essere pronti a reagire rapidamente, considerando che in qualsiasi momento potrebbe verificarsi un'eruzione in qualsiasi punto della caldera, che si estende per 100 chilometri quadrati".
Consiglierebbe, allora, un piano diverso da quello attuale?
"Certo. Deve dare la capacità di una rapidissima evacuazione, attraverso vie di fuga e di terra – come strade e ferrovie – e di mare, come il porto di Pozzuoli e tutti gli altri approdi lungo la costa".
Saliamo a bordo di una ideale macchina del tempo e torniamo agli anni ’50, insomma prima dell’aprile del ’52, inizio dei lavori del “Maradona”. Avrebbe ritenuto opportuna la costruzione dello stadio, sulla base delle conoscenze e dei dati vulcanologici in possesso all’epoca?
"Si aveva una conoscenza limitata del rischio vulcanico dei Campi Flegrei e, soprattutto, quella zona era considerata relativamente al di fuori dell'area congestionata della città. Già durante l'epoca fascista fu costruita la Mostra d'Oltremare, comprendente attività sportive, di svago, esposizioni ed eventi vari e si ritenne che fosse un luogo adatto per la costruzione dello stadio. Oggi, alla luce delle nuove conoscenze, se si dovesse costruire un altro impianto, sarebbe più prudente realizzarlo ad esempio a nord di Napoli e dei Campi Flegrei, nel Casertano, insomma al di fuori della zona ad alto rischio. Nella situazione attuale, non si sarebbe realizzato uno stadio in piena zona urbanizzata e in zona a rischio vulcanico e bradisismico, al cui c’è ma si potrebbe ritenere ragionevole – per quando detto in precedenza – usare lo stadio già esistente o un eventuale nuovo impianto al di fuori della zona rossa".
Sapendo di caricarla di responsabilità con questa domanda, secondo lei c’è un’area… anzi, meglio se le riesce di indicarmene più d’una, nei dintorni di Napoli, oltre quella del Casertano, in cui edificare un nuovo stadio?
"La valutazione è di natura urbanistica, ma per quanto mi concerne, dovrebbe essere costruito in zone poco popolate e, soprattutto, lontane dall’area calderica, ovviamente a nord, ad almeno venti di chilometri da Pozzuoli. Ad esempio – oltre, come ho comunicato, nella pianura del Casertano – nell’Acerrano, ma rientra nelle valutazioni urbanistiche. Per quanto riguarda il rischio vulcanico, le aree idonee dovrebbero essere a nord del bordo calderico – in quanto a est c’è l’area urbana napoletana e zona rossa vesuviana – in sostanza, in zone che non presentino rischi sismici e vulcanici specifici, se non quelli comuni a tutta l'area napoletana. Certo, potrebbero verificarsi terremoti nell'appennino del Sannio, ma su questo non c'è molto da fare, per quanto uno stadio, in generale, non subisca danni anche in caso di forti scosse".
"Ma un’arena calcistica in area meno densamente popolata consentirebbe una più sicura evacuazione agli spettatori. Se per esempio, il Napoli avesse giocato in casa quella sera del 23 novembre del '80 (era in trasferta a Bologna; ndr), l’unico fattore di rischio sarebbe stato il panico. Anche se gli stadi possono resistere a forti terremoti, l'area napoletana, esclusi ovviamente Campi Flegrei e Vesuvio, non è considerata una zona sismogenetica per grandi terremoti, quindi le accelerazioni prodotte dai terremoti sono molto meno intense che nelle aree epicentrali appenniniche".
Tra l’altro, De Laurentiis avrebbe valutato l’idea di costruire un centro sportivo a San Giuseppe Vesuviano: comune regolato da una legge sull’inedificabilità.
"Un centro sportivo può essere costruito ovunque, compatibilmente con i vincoli urbanistici, ma se realizzato in una zona rossa come quella vesuviana, per la quale tra l’altro esiste un vincolo di inedificabilità di edilizia privata, non dovrebbe comportare un eccessivo afflusso di persone e di veicoli perché questo inevitabilmente contribuirebbe ad aumentare il rischio".
In conclusione, dal suo personale punto di vista, meglio un “Maradona” rinforzato o un nuovo stadio nelle aree che mi ha indicato?
"Dipende dalle risorse economiche disponibili. Il rinforzo dello stadio Maradona potrebbe essere una soluzione accettabile, ma considerando che si trova nell’area rossa, sarebbe prudente vagliare anche una prospettiva futura che riduca al minimo il rischio. Poiché per i Campi Flegrei, a differenza della zona vesuviana, non è stata stabilita una legge sull'inedificabilità, in teoria non si dovrebbe costruire ulteriormente, ma piuttosto almeno in tempi lunghi ridurre il carico antropico e, soprattutto, evitare altre aree ad eccessiva densità di popolazione".
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