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La vittoria invisibile di Conte: come trasformare il Napoli da gruppo a squadra

Vincenzo Imperatore, consulente di direzione aziendale ed esperto di management, analizza le criticità psico-attitudinali del gruppo e dell'ambiente su cui finora ha inciso profondamente la leadership di Conte.


Vincenzo ImperatoreVincenzo ImperatoreAnalista finanziario e giornalista

09/11/2024 08:58 - Campionato
La vittoria invisibile di Conte: come trasformare il Napoli da gruppo a squadra

L’allenatore del Napoli, Antonio Conte, ha già vinto uno scudetto che va oltre la vittoria sul campo: ha trasformato un gruppo di giocatori e un ambiente abituato a pensare in termini individualistici in una squadra. Cosa sarebbe accaduto, infatti, se dopo il trionfo dello scudetto, i giocatori, cosi come avvenuto nell’infausto campionato scorso, fossero rimasti incentrati sul loro "io" anziché sul "noi"? Conte ha saputo agire su una delle problematiche più difficili: trasformare in squadra un gruppo che, dopo un’annata sfortunata, si era disperso in ambizioni personali.


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Concetti che nella gestione delle organizzazioni sembrano simili ma non lo sono. Il comportamento di Conte degli ultimi mesi aveva solo questo questo obiettivo. Far capire al management del Napoli che avere solo una finalità comune (come avviene in un gruppo) non equivale a vincere. E per questo, di solito, nelle organizzazioni si aspetta tanto prima di alzare un trofeo. Il gruppo in una azienda (ma non solo) è indispensabile per la produzione delle idee; nel gruppo di amici si discute su quale ristorante scegliere oppure quale film vedere al cinema, si media, si negozia, si opina, si prendono le distanze, si ammettono le eccezioni; il concetto di gruppo privilegia l’attenzione all’assetto interno nella collaborazione fra persone, alla loro organizzazione per ben lavorare (più che per gareggiare!!!).


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Conte ha voluto, invece, lanciare un messaggio preciso: oltre ad una finalità comune, il Napoli deve competere (gareggiare) con il mercato. Deve diventare squadra.

Nella squadra non si discute (non c’è posto per la discussione una volta deciso cosa fare), non si media (perché la mediazione è sempre un abbassamento del livello di eccellenza), non si negozia (perché se l’obiettivo è ben chiaro a tutti, non c’è bisogno di modificarlo), non si opina (le opinioni non danno quasi mai risultati concreti), non si prendono le distanze (chi le volesse prendere deve uscire dalla squadra), non si ammettono le eccezioni (o se ci sono si risolvono in un secondo momento… a risultato acquisito). Ottenere dalle persone abituate a lavorare in gruppo, un comportamento da squadra non è facile e la sua realizzazione non è immediatamente conseguente alle dichiarazioni. Ci vuole tempo (anche se a Conte la variabile tempo non piace), serve una selezione severa delle persone, è un problema di educazione non spontanea che deve essere indotta con la convinzione, con la consapevolezza, con la formazione, con la testimonianza più che con la costrizione.

Su cosa ha lavorato quindi Conte? Se una squadra, dopo un campionato vinto, arriva decima, qual è la radice del problema? Qui emerge la riflessione su cosa significa dare il 100%. Se, come evidenziato da un’indagine di una squadra americana, molti atleti tendono a rendere solo il 70-80% delle loro capacità, cosa succederebbe se non fosse così? Quali risultati potrebbe ottenere una squadra in cui ognuno dà veramente il massimo? 

Immaginate di essere una star in una squadra che perde spesso: comincereste a risparmiare energie, abituandovi a dare meno del 100%, anche se continuano a pagarvi profumatamente. Se i compensi elevati, anziché spronarvi, vi confermassero l'idea che state già dando abbastanza, come si potrebbe cambiare questo circolo vizioso?

Qui entra in gioco il ruolo del leader, la cui sfida non è solo rompere la routine, ma anche creare una dinamica interna in cui ogni membro si spinge a fare meglio. Ma se nessuno del gruppo esprime le proprie potenzialità, come può l’allenatore intervenire per accrescere anche di poco l’impegno di ciascuno? Anche un 5-10% in più, come ho notato nella mia esperienza di gestore di team, può fare la differenza. La questione non è solo fisica, ma anche comunicativa: trasmettere sinceramente aspettative alte, e il rispetto reciproco che permette una critica costruttiva.

“Vuoi che ti dica una bugia o la verità?”, chiedevo spesso ai miei collaboratori, spingendoli a una riflessione: forse non erano al massimo del loro potenziale. Immaginate Conte avere conversazioni altrettanto schiette: non sarebbe proprio questa sincerità una delle sue armi vincenti?

Con l’esperienza, ho imparato che quando le persone sono severe e ci dicono la verità, probabilmente lo fanno per il nostro bene. Lo stesso vale per un leader che affronta forze esterne potenti che possono distrarre i giocatori dalla mentalità di squadra: agenti, amici e familiari possono spingere verso atteggiamenti egoistici, anche involontariamente. Che succede se un giocatore inizia a sentire pressioni esterne e si preoccupa più delle sue statistiche personali che della vittoria collettiva?

Immaginate una squadra ideale dove tre attaccanti si disinteressano a chi segna pur di vincere. Nella realtà, però, se uno di loro fa più gol, gli altri due potrebbero iniziare a sentirsi esclusi o sottovalutati. Se le statistiche individuali calano, questo influirà sul prossimo contratto? Il rischio è che le pressioni degli agenti portino a cercare successi personali, compromettendo l’unità della squadra.

Conte ha saputo riconoscere queste pressioni esterne e ha consolidato continuamente il messaggio “Napoli First”, spingendo tutti a mettere la squadra al primo posto. È questo lo scudetto che Conte ha già vinto: non un titolo sportivo, ma quello della leadership, che va oltre il campo e diventa cultura del team.

Esiste, però, un rischio: per costruire una vera mentalità di squadra, non bastano certo quattro mesi. Questo è il motivo per cui mister Conte invita sempre tutti a non esaltarsi troppo e ripete che “si sta facendo un percorso.” Serve tempo per consolidare una mentalità condivisa, un percorso in cui ogni giocatore interiorizza la responsabilità verso il gruppo. Solo così il Napoli potrà affrontare le sfide future con una coesione che va oltre ogni pressione esterna o ambizione personale.

Il cammino è ancora lungo.


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Vincenzo ImperatoreVincenzo Imperatore
Laureato in Economia e Commercio, ha lavorato 22 anni come manager di un istituto di credito. Dal 2012 è un libero professionista, saggista, scrittore e giornalista pubblicista. Collabora con importanti testate.

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