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Alla scoperta del Como, il modello dei fratelli Hartono tra calcio e turismo

Robert Budi e Michael Hartono sono i ricchissimi proprietari del Como calcio. Quello lariano rappresenta ad oggi uno dei progetti più intricanti d'Europa. Alla scoperta del club che sta stupendo anche in A.


Alessandro D'AriaAlessandro D'AriaMatch Analyst

02/10/2024 21:09 - Campionato
Alla scoperta del Como, il modello dei fratelli Hartono tra calcio e turismo

Il Como ormai da sei anni è di proprietà della Sent Entertainment, società londinese che appartiene all’indonesiana Global Media Vision Ltd. dei fratelli Robert Budi e Michael Hartono, patrimonio stimato attorno ai 18 miliardi di euro che li rende i più ricchi proprietari di una squadra di calcio in Italia. Rappresenta ad oggi uno dei progetti più intricanti d’Europa, con elementi come Cesc Fabregas, Thierry Henry e Dennis Wise, presenti non solo come azionisti, ma anche in ruoli operativi o di consulenza. La storia recente del club racconta di ben tre fallimenti in quindici anni, dal venditore di sogni Enrico Preziosi, al quale si deve comunque l’ultima apparizione in Serie A, passando per il “Como ai comaschi” dell’imprenditore locale Pietro Porro, per giungere alla pittoresca Akosua Puni Essien, moglie dell’ex Chelsea e Milan Michael, che in soli quattro mesi condusse la società alla bancarotta. Questo lungo trapasso ha portato oggi Como ad essere non solo meta di qualche big a fine carriera, ma vero esperimento tra sport, business e paesaggio. Un esperimento che potremmo definire peculiare in quanto non replicabile altrove, atteso che di Lago di Como ce ne è uno solo al mondo, ma non esclusivo, poiché il modello di business proposto dai fratelli Hartono può funzionare, con i dovuti aggiustamenti, anche in altre realtà dotate di altrettanto fascino e appeal turistico-commerciale.


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Il Como era in Serie D quando, nel 2018, arrivarono gli Hartono. Fu molto abile l’ex presidente Massimo Nicastro, che aveva rilevato la società dopo il crac Essien, a vendere un sogno agli indonesiani, trasferendo loro il valore del brand di una città che, come una calamita, attira grandi produzioni hollywoodiane, vip e star internazionali, da George Clooney a Bruce Springsteen. Una volta rilevatone il titolo, la nuova proprietà indonesiana ha parlato con i fatti, fin da subito. I capitali sono stati investiti in maniera omogenea, non privilegiando solo il campo e l’ambito prettamente calcistico, ma anche quello strutturale e organizzativo.


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È stato acquistato per 3 milioni di euro un centro sportivo a Mozzate, a 25 chilometri da Como e non distante dalla Pinetina. È stato rifatto il manto erboso dello stadio Sinigaglia. Sono state assunte 50 persone nella sede del club, nell’ambito di un processo di ristrutturazione che ha portato la società a dotarsi di una struttura non piramidale, ma di strutture differenziate e parallele divise in quattro macro-aree: Como Retail, che si occupa dei negozi; Como Property, dedicata allo stadio; Como Academy, relativa al settore giovanile; Como Entertainment, che si occupa di tutte le manifestazioni collaterali, le feste e gli appuntamenti. Inoltre sono stati aperti diversi punti vendita in centro e lo store ufficiale è stato collocato nel cuore della città sulla piazza affacciata sul Duomo.

Il risultato è stato un’impennata dei ricavi da merchandising – favorito anche da un restyling della maglia con un motivo ispirato al lago – passati da 90mila euro dell’epoca pre-Hartono a 1.35 milioni nel 2022 fino a 3.9 nel 2023. Addirittura, borse con il marchio del club sono in vendita da Harrod’s, mentre un progetto in fase di lancio è quello che prevede l’ingresso nel mondo delle bevande con acqua minerale e birra con il marchio Como 1907. Degni di nota poi sono i progetti sociali e di integrazione con la comunità. In città è stato inaugurato un Community Children, ossia un punto di ritrovo per bambini e ragazzi Under 15 dove si possono fare i compiti, imparare l’inglese e, in occasioni create ad hoc, conoscere i giocatori della squadra. Tra le varie iniziative benefiche particolare interesse ha suscitato quella delle foto artistiche dei calciatori, in vendita in modalità fotografia oppure dipinto, il cui ricavato è stato destinato a favore dell’Associazione “Quelli che con Luca” che si occupa di trovare una cura per le leucemie infantili. In cantiere anche un progetto per l’apertura di un polo didattico destinato a studenti stranieri che intendono imparare il calcio in Italia sotto tutti gli aspetti, da quelli tecnici al business; e poi anche una App attraverso la quale gestire in ogni aspetto la propria esperienza allo stadio, dal comprare i biglietti a pagare i parcheggi fino all’ordinare cibo e bevande. Da questo excursus si evince come l’operazione relativa al calcio si inserisca all’interno di questa ampia cornice di carattere socio-economico.

IL PROGETTO TECNICO. Se il progetto commerciale, per bocca della proprietà, è stato sviluppato per il 20%, quello sportivo lo è per il 40%. Il Como non disputava tre campionati consecutivi in Serie B dagli anni Settanta, e gli step programmati ai tempi della salita dalla Lega Pro che prevedevano un assestamento il primo anno, un consolidamento il secondo, e la lotta per la promozione il terzo, sono stati rispettati. Anzi, l’accelerazione arrivata prima con l’esonero di Moreno Longo, poi con un mercato invernale di sostanza con gli arrivi dalla Serie A di Goldaniga e Strefezza, ha chiarito come il nuovo obiettivo fosse diventato quello di salire di categoria senza passare dai play-off. Risultato raggiunto, anche se in stagione il Como ha cambiato quattro volte allenatore, fino a scegliere Fabregas, promosso dalle giovanili, per cinque giornate, ossia trenta giorni, la durata prevista della deroga per un allenatore senza patentino. Poi, dopo un turno sotto la guida di Marco Cassetti, membro dello staff tecnico, è arrivato il gallese Osian Roberts. E il percorso Fabregas-Roberts illustra benissimo il progetto calcistico Como. Lo spagnolo, a dispetto del pensiero iniziale di molti, non è arrivato sul Lario per far vendere più magliette o portare più tifosi allo stadio, ma il suo arrivo è stato un messaggio lanciato dalla proprietà al calcio: qui si fa sul serio. E lo spagnolo, da uomo intelligente e sensibile, non ha stravolto il lavoro del suo predecessore, ma la cosa più importante che ha dato il nuovo tecnico è stato il cambio di mentalità, senza contare che senza il suo arrivo non sarebbe arrivato Thierry Henry come consulente, né Osian Roberts come allenatore, nome fatto proprio da Henry. Roberts appartiene alla categoria degli insegnanti di calcio, il cui lavoro avviene spesso lontano dai riflettori. 

Con il gallese il Como si era dimostrato squadra tosta, affidabile, sicura di sé stessa, pragmatica quando serve. Ma il Como di Cesc sta ponendosi all’attenzione degli addetti ai lavori come squadra moderna e sbarazzina, oltre che camaleontica all’occorrenza. Dopo che infatti nelle prime tre giornate nella massima serie ha segnato solo una rete e collezionato un pareggio e due sconfitte, il tecnico ha svoltato. Pur essendo ripartito in questa stagione dal 4-4-2 per fissare la fase di non possesso con uno schema “base” con cui coprire bene la zona centrale, ma anche l’ampiezza del campo, operazione che ha funzionato con squadre del livello di Cagliari e Udinese, riducendo al minimo i pericolo, di certo non all’esordio con la Juventus, è arrivata la decisione del tecnico spagnolo di cambiare sistema di gioco optando per il 4-2-3-1, sacrificando uno di due attaccanti, segnatamente Belotti, per inserire Sergi Roberto come mezzala. Sarà un caso, ma dopo questo cambio di sistema i lariani hanno iniziato a giocare bene e soprattutto a inanellare tre risultati utili di fila, due vittorie in casa dell’Atalanta e tra le mura amiche contro il Verona, e un pareggio casalingo contro il Bologna, segnando otto reti e subendone 6.

La sua idea di calcio si avvicina a quella dei suoi colleghi giovani. Nessuno modulo prefissato, gruppo solido e gioco aggressivo e divertente, ma al tempo stesso capacità di adattare la sua squadra all’avversario e cambiare di conseguenza disposizione tattica. Fabregas non vuole che il suo calcio sia legato a qualcosa di prestabilito, giungendo persino a sostenere che alla fine la formazione non sia importante, e che quello che conta sia la struttura. Il suo calcio consiste nel cercare gli spazi nei momenti giusti e in questa ricerca il sistema di gioco può cambiare anche tre volte nella stessa azione. Crede nell’intelligenza del giocatore nel trovare gli spazi. Non sorprende, quindi, che nelle prime tre partite abbia giocato con tre sistemi diversi: tre centrali di difesa oppure difesa a quattro… varia a seconda dell’avversario. 


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Alessandro D'AriaAlessandro D'Aria
Match Analyst e Football Data Analyst certificato ed abilitato alla professione. A fine anni '90 ha seguito da vicino prima la Primavera e la prima squadra del Napoli. Si occupa per AreaNapoli.it, tra l'altro, dell'analisi dell'avversario.

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