Lele Oriali, il manager silenzioso che il Napoli non sapeva di dover avere
Lele Oriali, entrato nel Napoli senza clamore, è diventato un punto di equilibrio tra staff tecnico e società. La sua leadership è basata su tre pilastri fondamentali del management moderno.

Nel frastuono quotidiano del calcio moderno, dove ogni dettaglio viene ingigantito e ogni ruolo spettacolarizzato, c’è ancora spazio per figure che operano lontano dai riflettori ma vicine al cuore del sistema. Una di queste è Lele Oriali, entrato nel Napoli senza clamore, eppure destinato a diventarne un punto di equilibrio.
La sua presenza nel club partenopeo rappresenta un raro esempio di governance discreta ma decisiva, e richiama un concetto caro alla cultura aziendalistica: il middle management di alto livello, capace di tradurre la visione strategica in operatività concreta, gestendo conflitti, equilibri, processi e soprattutto persone. In ogni azienda strutturata, esiste una figura che tiene unita la catena di comando, assorbe pressioni e distribuisce energia senza mai sovraesporsi. Oriali è esattamente questo. Un direttore dell’invisibile, che costruisce fiducia con i giocatori, parla il linguaggio dello spogliatoio ma sa anche interfacciarsi con la proprietà e l’area tecnica.
A differenza di altri profili da “copertina”, non ambisce a protagonismi mediatici. La sua leadership è basata su tre pilastri fondamentali del management moderno:
1. Credibilità derivata dall’esperienza (giocatore campione del mondo, dirigente vincente con Mancini in Nazionale e all’Inter);
2. Gestione delle relazioni interne, un aspetto fondamentale in ogni contesto organizzativo complesso;
3. Capacità di agire da cuscinetto organizzativo, ovvero da mediatore tra interessi talvolta divergenti — proprio come si chiede a un bravo operation manager.
In un calcio spesso dominato dal culto dell’ego e dell’iper-esposizione, Oriali rappresenta un modello alternativo: quello dell’ingranaggio silenzioso ma imprescindibile. Nessuna conferenza roboante, nessun post celebrativo. Solo ascolto, interventi chirurgici, e la capacità di stare dove serve, quando serve. In termini aziendalistici, diremmo che è un facilitatore di sistema, capace di mantenere l’equilibrio organizzativo anche nei momenti di transizione o di tensione.
Oriali ha sempre lavorato in contesti ad alta pressione, ma ha costruito il suo stile sull’assenza di isteria e sulla centralità del risultato. Il suo contributo si misura non nelle dichiarazioni, ma nella solidità che riesce a trasmettere all’ambiente. In un Napoli che viene da una stagione convulsa, dove la leadership tecnica e dirigenziale è stata più volte messa in discussione, l’approdo di Antonio Conte rappresenta una scelta forte. Ma la presenza silenziosa di Oriali è ciò che potrebbe fare la differenza nel lungo periodo.
In fondo, come nelle aziende più evolute, anche nel calcio il successo non lo determinano solo i CEO o gli uomini copertina. Lo determinano anche quei manager capaci di non farsi notare, ma che, senza di loro, nulla funzionerebbe davvero.
Chi conosce davvero le dinamiche interne delle organizzazioni sa che non si vince solo con l’allenatore e con i campioni in campo. Si vince anche con chi lavora nel silenzio, protegge il gruppo, smussa le tensioni, e costruisce quotidianamente le condizioni per far emergere il talento.
Lele Oriali è tutto questo. Tanta roba.
La sua è più di una collaborazione tecnica. È una sinergia culturale. Oriali non è stato preso per fare, ma per far fare. Per armonizzare, per mediare, per anticipare le crepe prima che si allarghino. È quel tipo di manager che in silenzio protegge il gruppo, ricuce gli strappi, e trasforma l’idea di squadra in una struttura stabile. Non è un caso che ovunque sia andato, qualcosa abbia funzionato meglio.
Il tifoso forse non lo nota, non ancora. Ma se il Napoli è tornato a vincere, a trasmettere solidità, molto del merito è anche suo. Perché se davvero questo club vuole emanciparsi dalla logica estemporanea della bottega e trasformarsi in una boutique calcistica d’élite, allora ha bisogno di professionalità silenziose ma strategiche. Ha bisogno di metodo, di struttura, di cultura manageriale. E uomini come Oriali non solo rendono possibile tutto questo: ne sono la condizione necessaria.
Perché la storia non si scrive con le intenzioni, ma con l’organizzazione. E senza uomini come Oriali, spesso, quella storia non parte nemmeno.





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