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Il Napoli resterà al Maradona, ma va? Scelta di convenienza e non d'amore

Analisi della questione stadio per quanto riguarda il Napoli. Il club azzurro resterà a Fuorigrotta per convenienza (prima di tutto economica). Nessuna nuova struttura.


Vincenzo ImperatoreVincenzo ImperatoreAnalista finanziario e giornalista

26/03/2025 14:52 - Altre notizie
Il Napoli resterà al Maradona, ma va? Scelta di convenienza e non d'amore

La sceneggiata dei creduloni volge al termine. Sono mesi che lo ripeto: il Napoli resterà allo stadio Diego Armando Maradona, storico impianto del quartiere Fuorigrotta. Non per amore, ma per convenienza. E per una lucida analisi economico-finanziaria.


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La SSC Napoli, pur essendo tra i pochi club italiani con solidità patrimoniale – un autentico caso scuola in un settore che brucia perdite per oltre 1,2 miliardi di euro – non può permettersi il lusso di affrontare contemporaneamente tutte le sfide del calcio moderno: aumento del monte ingaggi, investimenti in calciatori di alto profilo, rafforzamento dell’organigramma societario, costruzione di un centro sportivo e… realizzazione di uno stadio nuovo.


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È una questione di sostenibilità. Anche considerando il patrimonio personale della famiglia De Laurentiis, stimato da Forbes in circa 200 milioni di euro – briciole, se paragonate ai capitali dei magnati internazionali del calcio – era chiaro che qualcosa doveva essere sacrificato. Il Napoli è un modello di efficienza finché adotta il formato “bottega” o, al massimo, quello del “negozio in centro”. Ma continuo ad avere forti perplessità sulla sua capacità di reggere un modello “via Montenapoleone”: fatto di lusso, spese elevate e investimenti a rischio.

E infatti, come da copione, è partito il teatro del “nuovo stadio”: dichiarazioni, interviste, ipotesi su Agnano o il Centro Direzionale, rendering mai visti. Ma la realtà era un’altra. De Laurentiis sperava che le istituzioni locali si mettessero di traverso – e così è stato – per poter rimanere al Maradona, con un impianto ristrutturato (magari ampliato) grazie ai fondi pubblici e senza muovere un euro di tasca propria.

Un capolavoro di strategico attendismo, mascherato da ambizione progettuale.

Nel frattempo, ha lasciato intendere di voler acquistare l’impianto o ottenerlo in concessione per 99 anni. Anche lì, trattativa in salita. Ma il disegno è chiaro: rimanere al Maradona, cavalcando le energie pubbliche generate dall’imminente candidatura di Napoli come città ospitante per gli Europei 2032. Insomma, se si sistemano le cose per l’atletica e per il grande evento, perché non approfittarne?

E mentre qualcuno storce il naso per la pista di atletica, vale la pena ricordare che in tanti stadi europei e mondiali di primo livello coesistono sport diversi senza che il calcio ne venga penalizzato. L’Olimpico di Berlino, il Luzhniki di Mosca, lo Stadio Olimpico di Roma, il nuovo Olympiastadion di Monaco e persino lo Stadio Nazionale di Tokyo hanno la pista e restano templi del calcio e dello sport. Non è la pista il problema: è la visione, la gestione, il modello di business.

C’è poi un altro punto da chiarire: lo stadio non è una proprietà privata, una dependance di una società di calcio, è un bene della comunità. Deve servire la città, i cittadini, lo sport di base, le manifestazioni culturali. Non può essere privatizzato nei fatti, svuotando il significato pubblico di un luogo che rappresenta un’identità collettiva. Se poi la società sportiva che lo utilizza riesce anche a beneficiarne senza investimenti propri, tanto di cappello al loro tempismo. Ma almeno evitiamo la commedia.

Il Maradona resterà casa del Napoli. Non per scelta romantica, ma per una lucida strategia d’adattamento. 

A Napoli, come sempre, la sceneggiata è finita. E il copione era scritto da tempo.


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Vincenzo ImperatoreVincenzo Imperatore
Laureato in Economia e Commercio, ha lavorato 22 anni come manager di un istituto di credito. Dal 2012 è un libero professionista, saggista, scrittore e giornalista pubblicista. Collabora con importanti testate.

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