Di Marzio e il destino ineludibile di Maradona. Nel 1978 lo acquistò per 300 milioni di lire
Cosa sarebbe successo se Di Marzio fosse riuscito a portare Maradona alla riapertura delle frontiere in Italia? Angelo Forgione, nel suo editoriale per AreaNapoli.it, tratteggia la storia del primo incontro tra l'ex tecnico e un giovanissimo Pibe.

Senza preamboli e giri di parole, la butto lì, secca: Gianni Di Marzio avrebbe potuto "salvare" Diego Maradona dal suo dannato destino! Ma il destino è ineludibile, e finisce sempre per compiersi. Quello di Diego, fatto di tossicodipendenza e sofferenze, si indirizza male proprio nel mese di giugno del 1978, proprio quando conosce Di Marzio. In quei giorni è un diciassettenne che scoppia di salute e felicità. Una felicità interrotta momentaneamente in un giorno di maggio da Cesar Luis Menotti, selezionatore argentino, che l’ha ferito profondamente escludendolo dalla lista dei 22 per i Mondiali in patria. Lui, talento indiscusso in prorompente ascesa nel campionato argentino, spinto in Nazionale a furor di popolo, è uno dei tre elementi fatti fuori prima della competizione. Il giorno della notizia ha pianto a dirotto sotto un albero. Così raccontano quelli che l’hanno visto e sentito urlare «e ora come lo dico a mio padre?».
La competizione iridata in Argentina è in corso. Gianni Di Marzio è volato nel paese sudamericano per scovare talenti da portare a Napoli. Lì viene intercettato da Settimio Aloisio, un ingegnere di origini calabresi, tifoso del Catanzaro, la squadra che ha allenato prima del passaggio sulla panchina azzurra, e anche del Napoli, baluardo del Sud da cui è emigrato. È un dirigente dell'Argentinos Juniors, e cerca di piazzare il talentuoso Maradona all’ombra del Vesuvio per sistemare le casse del club biancorosso. Pensa di raggiungere Di Marzio in albergo per ingolosirlo con la descrizione delle formidabili capacità del "pelusa". «Ti devo fare vedere un nostro ragazzo, è fenomenale, non ha ancora 18 anni ed è stato anche tra i pre-convocati per i Mondiali, solo che Menotti alla fine ha preferito gente di maggiore esperienza».
Detto fatto, e i due raggiungono di lì a poco un campo di Buenos Aires dov’è in programma un'amichevole dell'Argentinos. Non trovano Diego al seguito della squadra, negatosi per la rabbia di non aver potuto partecipare al Mundial che ancora non si placa. Lo vanno a cercare a casa, a Villa Fiorito, e lo trovano sfatto, imbronciato, con una maglietta stracciata addosso e scalzo. lo convincono a salire in auto con loro per recarsi in tutta fretta su quel campo a disputare l'amichevole e a mostrare il suo talento per prendersi magari il Napoli e la Serie A di lì a qualche anno. Tutti di corsa verso il campo, e in un quarto d’ora Diego fa dribbling e gol, tre per la precisione. Di Marzio, ammirato da quel funambolo riccioluto, chiede ad Aloisio di farlo uscire. Con lui c’è anche Angelo Pesciaroli, giornalista del Corriere dello Sport che segue la Lazio quotidianamente, e teme che questi possa fare una soffiata al club capitolino. Gli dice che deve andare in bagno e si fionda negli spogliatoi per far firmare a quel prodigio un precontratto senza neanche ascoltare il parere di Ferlaino. Se lo accaparra per 220.000 dollari, 300 milioni di lire dell'epoca. Resta solo da convincere il presidentissimo azzurro, anche perché le frontiere sono chiuse e in Italia non possono approdare calciatori stranieri. L’allenatore suggerisce all’ingegnere di non pensarci troppo su, e di tenerlo parcheggiato in prestito. I quotidiani napoletani intercettano la notizia e qualcuno scrive che Di Marzio vuole prenotare un fenomeno di nome Mariconda. Errore o ironia? Sta di fatto che Ferlaino dice no, non ne vuole sapere di quel giovincello scartato da Menotti. Lui ha bisogno di giocatori già fatti perché deve far quadrare i conti e i nomi gli fanno vendere gli abbonamenti.
L'Argentina vince i Mondiali. Diego si prende la sua rivincita e il posto in Nazionale a suon di gol e magie nell'Argentinos Juniors, mentre Di Marzio gli manda vestiti e pure la maglia azzurra di Savoldi. Va a trovarlo a Roma in occasione di un’amichevole tra Italia e Argentina. Ma non c’è niente da fare, Ferlaino non si convince a muoversi per quel ragazzo che in patria continua a stupire. Più volte capocannoniere del torneo, due Palloni d'Oro sudamericani, finché Omar Sivori, bandiera juventina, lo segnala a Boniperti nel 1980, anche se il suo trasferimento all’estero è negato dal presidente della Federcalcio argentina, Julio Grondona, a cui Menotti, che ora non può più farne a meno, ha chiesto di trattenere in patria i migliori calciatori in vista dei Mondiali di Spagna del 1982. Boniperti, come Ferlaino, potrebbe acquisirne la proprietà e attendere due anni, ma non si entusiasma alla vista della sua statura, e lo boccia.
L’Argentinos lo cede nel 1981 al Boca Juniors, la squadra del cuore di papà. Ben 2 milioni di dollari per il prestito, più un conguaglio di cinque calciatori che ne fanno altri 2, ma gli “Xeneises” devono privarsene molto presto, non essendo in grado di saldare il suo trasferimento definitivo. A credere nel crack è il Barcellona, con una spesa di un milione e duecentomila peseta spagnole, circa dodici miliardi di lire versati agli argentini nel 1982, soldi che il Napoli “rimborsa" due anni più tardi ai catalani, da cui Maradona scappa a gambe levate. Una storia turbolenta e travagliata in Spagna, e Pier Paolo Marino, avvisato del forte mal di pancia dell’argentino, lo propone alla Juventus. Boniperti, ancora lui, innamorato di Platini, ribadisce che Maradona, con quel fisico, non arriverà lontano. E invece arriverà lontanissimo, scegliendo la squadra del destino, il Napoli, cui Marino si rivolge in seconda battuta. Ma il fuoriclasse ora costa troppo, e Ferlaino i soldi non ce li ha, e sta pure trattando Hugo Sanchez con l’Atletico Madrid. Antonio Juliano si ricorda delle belle parole di Di Marzio spese per quel ragazzo scovato sei anni prima dall’altra parte dell’oceano e si piazza a Barcellona. L’affare si può fare, perché la politica democristiana, dopo il terremoto in Irpinia, ha forte interesse a portare distrazione a Napoli e ha attivato il Banco di Napoli e altri istituti di credito per mettere insieme i soldi per l’acquisto del secolo. Ferlaino è costretto a trattare e ad ingaggiare Dieguito, che quando prende il suo primo aereo per Napoli è felice come un bambino appena nato. Intervistato da Fabrizio Maffei della RAI in fase di atterraggio, con il Vesuvio e la pista di Capodichino sempre più vicini, dichiara: “Perché Napoli? Perché era destino, dal 1978, quando il primo a parlarmene fu Gianni Di Marzio che cercò già allora di portarmi qui”.
Perché ho raccontato questa storia? Perché se Di Marzio fosse riuscito a portare Maradona a Napoli nel 1980, ben quattro anni prima del suo ingresso trionfale al San Paolo, gli avrebbe evitato il passaggio al Barcellona, là dove, a ventidue anni, “el Diez” incontrò il razzismo dei catalani, che lo chiamarono “sudaca”, e quell’ostilità di società, stampa e tifoseria che lo portò all’isolamento nella sua villa di Pedralbes e alla droga nelle discoteche della Rambla. Maradona sapeva che Barcellona era stata l’inizio della sua fine, la tappa che lo spinse a una tossicodipendenza che esplose negli anni, rovinandogli la vita e anche la pur inimitabile carriera. Se fosse approdato a Napoli nel 1980 e non nel 1984, quantunque asfissiato, non avrebbe conosciuto razzismo e diffidenza, e avrebbe goduto di quell’amore nel quale si tuffò alla cieca pur di lasciare l’inferno di Barcellona. Penso, anzi, ne sono convinto, che Di Marzio avrebbe inconsapevolmente salvato Maradona dalla droga e da i problemi che ne sono conseguiti… se solo il destino non fosse stato ineludibile.





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