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"Questo Napoli non ha le palle"

Ennesimo passo falso del Napoli in uno dei tanti possibili momenti di svolta della stagione. Angelo Forgione ne parla nel suo editoriale per AreaNapoli.it.


Angelo ForgioneAngelo ForgioneGiornalista e scrittore

07/03/2022 15:18 - Campionato
Questo Napoli non ha le palle

"Questo Napoli non ha le palle". Mio pensiero espresso a caldo sui social immediatamente dopo il match Napoli-Milan. Pensiero che confermo a freddo e che chiarisco, perché l'estrema sintesi sembra nascondere un ragionamento di pancia, per nulla ponderato, e per qualcuno anche incoerente rispetto alle riflessioni di una settimana fa, dopo la vittoria esterna contro la Lazio. Tutt'altro. Basta rileggere quanto avevo scritto al termine del trionfo dell’Olimpico per capire che quanto stringatamente espresso ieri è diretta conseguenza di quanto scritto otto giorni prima, sempre sui social: "È il momento della verità. O il Napoli punta al colpaccio oppure resta eterno incompiuto. Vale per il club ma anche per Spalletti, che ha anch'egli l'opportunità di togliersi l'etichetta di allenatore da piazzamento e non di più, di vincere come non gli è mai successo, campionato russo e Coppa Italia a parte. E vincendo a Napoli, contro le milanesi, farebbe la storia. Il calendario non è favorevole, ma non è più tempo di essere pavidi! Il mister, i ragazzi e la dirigenza decidano cosa vogliono fare dei loro destini. I veri avversari non sono Inter e Milan, e neanche gli infortuni, ma essi stessi".


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Un pensiero che schiudeva, dal Milan in poi, alla verifica del carattere e della determinazione di questo Napoli, inteso come dirigenza, staff tecnico e rosa. E perciò, fallito immediatamente il primo importantissimo esame, non è corretto puntare il dito sui soli Insigne, Zielinski, Fabian Ruiz e tutti gli elementi di una qualità che troppo spesso si scioglie come neve al sole. È "questo Napoli" a non avere gli attributi, non "questi calciatori".


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Non può tralasciarsi, nell’analisi, la consapevolezza della dimensione del sodalizio azzurro, vincitore di due campionati in un secolo di vita sportiva, e quando ha potuto contare sul sommo apporto della classe e del carisma del più grande calciatore della storia. È proprio per questo che, dopo la vittoria contro la Lazio, strappata con i denti e con la volontà, di quelle che cambiano gli equilibri, il Napoli di De Laurentiis era giunto con le sue gambe a un crocevia storico: fare l'impresa, di quelle che si compiono raramente, oppure restare eternamente incompiuto.

Un crocevia al quale, paradossalmente, la squadra è giunta in un momento di opacità sul piano del gioco. Scarsa la prestazione nel primo tempo contro la Lazio, pessima quella contro il Barcellona, indecente contro il Cagliari. Quella contro il Milan è prosieguo di una flessione che va necessariamente arrestata e invertita.

Al crocevia dei destini il Napoli si trova ancora, perché, sia ben chiaro, l’impresa scudetto è ancora possibile, anche se meno rispetto alla vigilia dello scontro diretto contro il Milan. Considerare spezzato il sogno sarebbe un errore che possono consentirsi i tifosi ma non la squadra e il suo allenatore.

Da qui in poi, però, vi sarà bisogno di un diverso atteggiamento mentale rispetto al risultato finale, perché nascondersi dietro il raggiungimento dell'obiettivo iniziale, il ritorno in Champions League, quando si è in pienissima lotta per traguardi anche superiori, sarebbe davvero da mediocri. È esattamente questo uno dei limiti troppo spesso palesati dal club nell’era recente, poiché le squadre con la mentalità vincente nascono proprio nelle stanze dei bottoni. La leggenda metropolitana del presidente che non vuole vincere lascia il tempo che trova, ma a De Laurentiis manca la voce del padrone nei momenti in cui ci si può spingere oltre, e tale silenzio è colpevole di una visione limitata degli orizzonti da parte di chi poi traduce la “mission” in campo.

Spalletti ha più volte tolto alibi alla squadra, a partire dai numerosi infortuni e dagli intralci della Coppa d'Africa, e non può essere un alibi un rigore non concesso dall'inadeguato Orsato (il miglior arbitro italiano, ed è tutto dire!) e non segnalato dal VAR, perché l’episodio cadeva al minuto 12, con una partita da giocare quasi per intero, e sul risultato di parità, poi variato perché la partita è stata giocata male, senza mai dare, eccetto i primi minuti, l'impressione di aver portato in campo la necessaria determinazione per provare a vincerla e magari per lanciare un fragoroso proclama alla nazione.

Spalletti è anch'egli responsabile del tonfo, avendo lasciato la superiorità numerica al centrocampo degli avversari, conseguita da Pioli arretrando Kessie in mediana per ovviare alle difficoltà dei primi minuti. Il mister è anch'egli sulla barca in cui remano i suoi ragazzi e la dirigenza, tutti a dover scrivere il proprio destino e il ricordo da lasciare ai posteri. Vincenti o eterni incompiuti?

Come il match contro l'Inter e, in qualche modo, quello contro il superiore Barcellona, quello contro il Milan ha mostrato un Napoli per niente impavido e determinato ma, al contrario, conservativo e a tratti timoroso di soccombere davanti ai tifosi, che li avevano caricati lungo le strade della città. Spalletti ha detto che "se non sai reggere le pressioni è chiaro che diventa quasi impossibile vincere", e che "il livello di calcio è questo in una città come Napoli, dove se non reggi le pressioni devi spostarti". Un pensiero che stride con lo sfogo post-Lazio e che evince tutta la consapevolezza del mister di cosa significhi per Napoli lottare contro Milano o Torino. È già un mezzo prodigio che compie qua e là il solo Napoli nel deserto calcistico del Sud, ma eccellere nelle mediocrità di un macroterritorio depresso economicamente e calcisticamente non può diventare un alibi per nessuno, tantomeno per l'allenatore stesso, che si è sciolto anche a Milano e rischia di sciogliersi anche a Napoli come già fatto a Roma.

Scrissi, una settimana fa, che il mister, i ragazzi e la dirigenza avevano da decidere cosa fare dei loro destini, e che i veri avversari non erano, e non sono, Inter e Milan, ma essi stessi. Ieri hanno dimostrato esattamente di far da ostacolo a se stessi, perdendosi nella disposizione in campo dei Rossoneri e nella capacità degli avversari di superare le difficoltà dei primi minuti, frutto emotivo della spinta del "Maradona" e non di certezze mentali.

Non è finita, non ancora, ma a questo Napoli occorre andare oltre le proprie paure, la propria storia e quella intera del club. Non è più il momento di invocare la benedizione di Maradona, già poco onorato nello stadio che porta il suo nome, in cui in campionato le sconfitte sono già sette (nove in totale); decisamente troppe. "Uomini forti, destini forti; uomini deboli, destini deboli", disse proprio Spalletti. Sì, non c'è altra strada, e questa non è ancora sbarrata. Fuori le palle!


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Angelo ForgioneAngelo Forgione
Giornalista e scrittore, autore perlopiù di saggi di cultura, costume e storia di Napoli e del Meridione. Appassionato napoletanologo e studioso dell'idioma napoletano, è anche grafico pubblicitario.

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