Napoli da 1 miliardo: il trionfo sportivo che ha moltiplicato il valore del club
Lo scudetto ha attivato tutti i moltiplicatori: premi UEFA, maggiore visibilità internazionale, nuove opportunità commerciali, aumento della fanbase globale.

Chi segue il calcio con occhio finanziario sa bene che un trofeo non è solo una coppa da esibire in bacheca, ma anche un acceleratore di valore per l’intero sistema-club. Il Napoli lo dimostra in modo plastico: secondo l’ultimo report di Football Benchmark, il valore d’impresa del club azzurro ha superato per la prima volta la soglia simbolica del miliardo di euro, raggiungendo i 1.097 milioni. Una crescita del +21% in un solo anno, che testimonia come il successo sportivo – se gestito con visione – possa trasformarsi in un asset finanziario tangibile. Ricordiamo sempre, per chi ogni tanto lo dimentica, che nel 2004, quando De Laurentiis acquisì il club fallito, il Napoli valeva poco più di 30 milioni di euro.
Ma cosa significa questo “valore d’impresa”? È una misura usata in finanza per valutare quanto vale complessivamente un’azienda, tenendo conto del suo capitale, dei debiti, del valore della rosa, dello stadio, del brand, dei social, e di tutte le fonti di ricavi. Insomma, è il prezzo che un investitore dovrebbe pagare se volesse “comprare tutto” il Napoli oggi. Non è un caso isolato né una sorpresa. Prima ancora che il Napoli vincesse il suo quarto scudetto, avevo scritto, numeri alla mano, che il club partenopeo valeva almeno 700 milioni di euro. Quella era una stima prudenziale, basata su parametri oggettivi come fatturato, valore della rosa, patrimonio commerciale e sostenibilità economica. Lo scudetto ha semplicemente attivato tutti i moltiplicatori: premi UEFA, maggiore visibilità internazionale, nuove opportunità commerciali, aumento della fanbase globale. E i fatti hanno confermato la previsione: da 700 milioni siamo passati, in pochi mesi, a sfondare la soglia del miliardo.
Ma c’è di più. Da due anni il Napoli è entrato nel suo quinto piano quinquennale, modificando in modo sostanziale il proprio modello di business, come ho avuto modo di sottolineare più volte in passato. Alla centralità del risultato sportivo e dell’equilibrio economico si è aggiunta una strategia di patrimonializzazione concreta, basata anche sul “mattone”. Parliamo di beni tangibili: la realizzazione di un nuovo centro sportivo di proprietà e la partecipazione attiva al restyling dello Stadio Maradona, con l’obiettivo di ottenere una concessione pluriennale per la sua gestione. Una concessione del genere, oltre ad aumentare le entrate stabili nel tempo, rappresenterebbe a tutti gli effetti un asset iscrivibile a bilancio, con effetto diretto sull’enterprise value del club
Oggi il Napoli si colloca al 17° posto nella graduatoria europea dei club più “ricchi”, dietro a colossi come Real Madrid (6,3 miliardi), Manchester City e United (oltre 5 miliardi), ma davanti a realtà storiche come l’Ajax, il Porto, il Benfica, e sempre più vicino a club come la Roma. Tra gli italiani, solo Milan (1,808 miliardi) e Inter (1,715 miliardi) fanno meglio. La Juventus, in calo, è a 1,651 miliardi.
Questi numeri sono il frutto di una gestione che ha saputo unire disciplina economica, valorizzazione sportiva e visione imprenditoriale. Non c’è stato uno scudetto “a debito”, ma una vittoria costruita su fondamenta solide. Il club non si è indebitato per inseguire i successi, ma ha investito in modo mirato su calciatori funzionali e rivendibili, su strutture leggere e su un’identità forte, spendibile anche all’estero.
Il valore di impresa – tecnicamente “Enterprise Value” – non fotografa solo i bilanci, ma tutto ciò che rende un club appetibile per il mercato: popolarità sui social, appeal commerciale, potenziale sportivo, diritti televisivi e – dove presente – proprietà dello stadio. E qui il Napoli può crescere ancora. Il progetto per il restyling dello Stadio Maradona, in discussione con il Comune, rappresenta un tassello cruciale per consolidare e incrementare il valore patrimoniale del club.
Siamo davanti a un caso scuola di “equilibrio virtuoso” tra campo e cassa. Perché vincere è bellissimo, ma saperlo monetizzare – senza perdere la propria anima – è ciò che distingue un fuoco di paglia da un progetto strutturale





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