Dove sono ora quei procuratori che dopo due partite buone dei loro assistiti pretendono i rinnovi?
"La negoziazione con i fornitori potenti: i procuratori", Vincenzo Imperatore analizza il comportamento dei procuratori nel mondo del business calcistico.

La situazione è delicata, non solo dal punto di vista sportivo. E si inizia a capire la differenza tra colpe e responsabilità. Nel linguaggio comune, anche quello di ambito giuridico, si tende ad usare la parola “colpa” e la parola “responsabilità” in modo sostanzialmente interscambiabile. In realtà esiste una distinzione: la colpa chiama in causa l’elemento del comportamento e delle scelte di qualcuno nell’avere favorito il verificarsi di un evento avverso. La responsabilità invece chiama in causa la propensione nel comportamento a migliorare le cose.
La colpa di tutto ciò che sta accadendo nel Napoli è, per sua stessa ammissione, di Aurelio De Laurentiis. Le responsabilità sono anche dei calciatori e, soprattutto, delle loro appendici: i procuratori. Dove sono ora quei procuratori dei calciatori che, dopo due partite buone dei loro assistiti vanno a bussare a soldi, pretendono i rinnovi e pilotano informazioni ai media che sull’allarmismo e il terrorismo psicologico producono followers e click?
Ed allora forse è il caso di affrontare, nella seconda puntata del viaggio nel mondo delle capacità di negoziazione del presidente del Napoli, il tema delle trattative con fornitori-dipendenti potenti come i calciatori. In un business di proporzioni planetarie, i dirigenti delle società calcistiche necessitano sempre più di competenze di elevato profilo e di disponibilità a ragionare fuori dagli schemi per gestire le negoziazioni con i rappresentanti dei principali fornitori dello spettacolo: i procuratori dei calciatori.
Le esperienze degli ultimi anni evidenziano una tecnica ben collaudata: due anni prima delle naturali scadenze contrattuali, gli agenti convocano il calciatore e lo mettono davanti a una scelta. Le opzioni che gli vengono proposte sono due: rompere con il club di appartenenza in maniera netta o andare in trattativa e giocare al rialzo con la richiesta di cifre astronomiche, ottenendo lo stesso risultato.
In questi ultimi decenni, in molti settori (tra cui il calcio), l’equilibrio di potere nella negoziazione si è sensibilmente spostato dai compratori (società di calcio) ai fornitori (calciatori) portando il margine di scelta a restringersi, con la conseguenza che i primi (società di calcio) devono accettare il prezzo deciso dal fornitore (calciatore).
Le aziende di calcio che si trovano in una posizione di debolezza nei confronti dei loro fornitori devono ridefinire il rapporto in senso strategico, affrontando il problema come una sfida vitale per la sopravvivenza. Non possono più affidarsi solo alle difficili negoziazioni portate avanti da un presidente sprovveduto o da un direttore sportivo che non ha alcuna competenza o formazione al riguardo.
Per facilitare questa revisione strategica, le società calcistiche dovrebbero far riferimento a un processo sviluppato da tre dirigenti (Petros Paranikas, Bob Tevelson e Dan Beltz) di Boston Consulting Group, una delle società di consulenza più importanti al mondo, che hanno tracciato un quadro di un percorso di negoziazione in quattro punti, disposti in ordine ascendente di rischio. E che sembra proprio quello seguito dal presidente De Laurentiis.
La prima cosa da fare è chiedersi se è possibile aiutare il fornitore-calciatore a realizzare valore in altri contesti. Vai altrove perché non rientri più nei nostri piani. È il modo più semplice per ridefinire il rapporto con un fornitore potente; può servire a ribilanciare l’equazione di potere e trasformare una semplice transazione commerciale in un partenariato strategico win-win. In altri termini: guadagno io e guadagni tu!
In secondo luogo, se questa via non è percorribile, bisogna valutare le possibilità di modificare le proprie modalità di acquisto. Dato che questa strategia può avere ripercussioni su altri settori del- la organizzazione, è necessaria una collaborazione ravvicinata tra chi fa la campagna acquisti-cessioni e le altre funzioni aziendali potenzialmente coinvolte, soprattutto l’area controllo di gestione, quella che governa i conti della società e ne prevede l’evoluzione. E se le proiezioni fanno intravedere ipotesi di perdite, un’azienda di calcio ha un modo semplice per cambiare i propri modelli di domanda: ridurre il volume di acquisti da un fornitore-calciatore potente (gio- cherai di meno e quindi devi guadagnare di meno), spostandolo preferibilmente su un prodotto equivalente o di costo inferiore.
A volte basta una semplice minaccia per rendere il fornitore più disponibile a trattare, ma l’organizzazione compratrice (la società di calcio) deve essere ferma nelle sue posizioni e sostenere i suoi negoziatori (direttore sportivo o, in Inghilterra, l’allenatore-manager).
In terza battuta, si deve provare a trovare un altro fornitore-calciatore fra quelli esistenti, oppure a crearne uno nuovo investendo nelle risorse e nelle capacità necessarie di un settore giovanile. Naturalmente, una misura così drastica rischia di farvi rompere del tutto i ponti con l’attuale fornitore (calciatore) e potrebbe influire sul clima dell’azienda, positivamente (come avvenuto per il Napoli liberandosi dei “fantastici perdenti” Koulibaly, Mertens e Insigne) o negativamente (Zielinski).
Se niente di tutto questo funziona, non rimane che una possibilità: usare le maniere forti. Quest’ultimo approccio può lasciare strascichi duraturi nel rapporto con il fornitore-calciatore e rappresenta l’ultima spiaggia. Se tutto il resto non ha funzionato, escludere il fornitore-calciatore da affari futuri o minacciare di fargli causa (o una combinazione di tutte queste mosse) potrebbe essere l’unica soluzione, se non volete chiudere bottega.
Vogliamo allora ripercorrere il processo logico alla base dello studio effettuato dai tre ricercatori di Bcg?
Per ognuna delle quattro strategie proposte in ordine ascendente di rischio, rispondete alle due domande riportate sulla colonna di destra. Se la risposta è no in entrambi i casi, potete valutare di intraprendere una linea d’azione più rischiosa, cioè passare a quella successiva.
A questo punto, verificate se il Napoli sta ragionando con le competenze della scienza del management oppure con la pancia del tifoso.
Io non ho dubbi.





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