Fair Play Finanziario, Juventus e Napoli su due pianeti diversi. L'analisi delle nuove regole
Analisi delle nuove regole finanziarie e del diverso approccio gestionale tra Napoli e Juventus spiegata anche ai non addetti ai lavori.

Ci risiamo. Negli ultimi venticinque anni non c’è scandalo, giudiziario o sportivo, in cui la Juventus non sia riuscita a ritagliarsi un ruolo da protagonista. Non si parla più di sospetti o di accuse, ma di condanne, penalizzazioni, punti tolti, dirigenti radiati. Ogni volta che il calcio italiano tenta di ripartire, ecco che la Juve torna al centro della scena, come se il suo destino fosse quello di attraversare i decenni sospesa tra trionfi e procedimenti disciplinari. È un film che abbiamo già visto, ma che trova sempre un nuovo capitolo.
Fascicolo della Uefa sulla Juventus
Oggi il copione è scritto a Bruxelles e a Nyon, non più nei tribunali italiani. La UEFA ha aperto un fascicolo per verificare la conformità della Juventus alle Financial Sustainability Regulations, le nuove regole che hanno sostituito il vecchio Fair Play Finanziario. Non è più questione di pareggio di bilancio o di artifici contabili: il tema, ora, è la sostenibilità. In altre parole, la capacità di un club di non spendere sistematicamente più di quanto guadagna.
Il primo indicatore che la UEFA prende in esame si chiama Football Earning Rule, e rappresenta una sorta di bilancia morale tra ricavi e perdite. Il principio è semplice: in un ciclo di tre anni, una società calcistica non può accumulare perdite superiori a 60 milioni di euro, a meno che non siano interamente coperte da versamenti dei soci. È una regola di buon senso, nata per evitare che i club si gonfino di debiti contando sul salvataggio finale del proprietario. In questo quadro, la Juventus è tornata sotto osservazione nel periodo 2022-2025 perché le sue perdite recenti superano ampiamente quel limite, anche dopo gli aumenti di capitale. Le perdite del club, secondo i bilanci ufficiali, sono state molto alte nel triennio precedente — oltre 200 milioni nel 2021/22 e ancora 124 milioni nel 2022/23, in parte ridotte nel 2023/24 e nel 2024/25 (58 milioni) grazie ai tagli sui costi. Ma il trend complessivo resta delicato.
La società ha pagato gli anni di spese fuori controllo, le manovre stipendi e i ricavi alterati dalle plusvalenze. L’effetto è un conto economico appesantito da costi che non trovano corrispondenza nei ricavi reali.
L'equilibrio del Napoli
Il Napoli, al contrario, ha fatto esattamente ciò che la UEFA chiede: ha mantenuto un equilibrio costante, generando utili o leggere perdite di gestione. Non ha dovuto ricorrere ad aumenti di capitale e ha gestito il mercato con la logica di un’impresa, non di un mecenate.
Ma la vera rivoluzione del nuovo Fair Play si chiama Squad Cost Ratio. È l’indice che misura quanto un club spende per la sua squadra rispetto ai ricavi che genera. Nel linguaggio contabile della UEFA, la formula è questa:
SCR = (spese per dipendenti rilevanti + ammortamenti e svalutazioni dei cartellini + compensi agli agenti) / (ricavi operativi rettificati + risultato netto da trasferimenti)
Dietro quella formula apparentemente arida c’è il cuore della sostenibilità finanziaria. Nel numeratore si concentrano tutti i costi direttamente legati alla squadra: gli stipendi dei calciatori e dell’allenatore, i benefit dello staff tecnico, la quota annuale di ammortamento dei cartellini — cioè il costo del diritto alle prestazioni sportive dei giocatori — e le commissioni pagate agli agenti o agli intermediari. In sostanza, tutto ciò che serve per “far giocare” la squadra, dal punto di vista economico.
Nel denominatore, invece, si sommano solo i ricavi reali e ricorrenti del club, quelli che derivano dall’attività calcistica: biglietteria, diritti televisivi, sponsor, merchandising, premi UEFA. A questi si aggiunge il risultato netto delle operazioni di mercato, cioè la differenza tra le plusvalenze e le minusvalenze sulle cessioni dei giocatori. Restano invece fuori dal calcolo i proventi straordinari, gli incassi non legati al calcio o le sponsorizzazioni gonfiate da parti correlate: un modo per impedire ai club di “truccare” i numeri.
L’obiettivo è chiarissimo: capire quanto il club spende per tenere in vita la squadra, e se quella spesa è sostenuta da ricavi veri. Per questo la UEFA ha introdotto un percorso graduale. Nel 2023 si poteva spendere fino al 90% dei ricavi; nel 2024 la soglia è scesa all’80%; dal 2025 il limite definitivo sarà il 70%. In altre parole, un club dovrà destinare al massimo il 70% dei propri ricavi alla squadra, lasciando il restante 30% per il resto dell’attività — strutture, settore giovanile, calcio femminile e investimenti futuri.
Juventus e Napoli su due pianeti diversi
Ed è qui che la distanza tra Juventus e Napoli diventa abissale. La Juventus, nonostante la riduzione dei costi negli ultimi esercizi, continua a presentare un rapporto tra costi sportivi e ricavi superiore al 90%. Ciò significa che, per mantenere il livello della rosa e competere ad alto livello, spende più di quanto incassa dal calcio giocato. È un modello fragile, che vive di anticipi di cassa, plusvalenze e ricapitalizzazioni. Un equilibrio che si regge solo finché la proprietà decide di sostenere le perdite.
Il Napoli, invece, viaggia su un altro pianeta. Il suo Squad Cost Ratio si aggira intorno al 60%, un valore che la UEFA considera ideale. Ogni euro speso per la squadra è coperto da entrate solide, e il club conserva margini per investire, pagare i debiti e resistere alle oscillazioni del mercato. In pratica, il Napoli rappresenta esattamente ciò che la UEFA vorrebbe per il calcio europeo: una società autosufficiente, capace di vincere senza mettere a rischio la propria stabilità finanziaria.
La sostenibilità non è più un tema morale, ma competitivo. Un club che spende più di quanto incassa perde libertà: non può investire, non può rischiare, e finisce per vivere in una continua emergenza economica. La Juventus si trova ora di fronte a questo bivio: o ridisegna il proprio modello industriale, o rischia di restare intrappolata in un circolo vizioso fatto di riduzioni, sanzioni e marginalità sportiva.
Il Napoli, al contrario, mostra che la disciplina finanziaria può diventare una forza. Nel suo caso, l’equilibrio economico non è frutto di austerità, ma di coerenza. Ha costruito risultati sportivi proporzionati ai ricavi, senza debiti strutturali, senza manovre occulte. Nel mondo del calcio, dove la tentazione di vivere al di sopra delle proprie possibilità è la norma, è quasi un atto rivoluzionario.
Lo Squad Cost Ratio non è un tecnicismo per contabili, ma un riflettore puntato sulla verità economica del calcio. Dice, in fondo, quanto un club è capace di vivere di sé stesso. E in questo momento, quella verità è spietata: la Juventus spende più di quanto guadagna, il Napoli spende meno di quanto incassa. Una giustizia poetica, se vogliamo, per un sistema che per anni ha confuso la grandezza con la spesa.
Il nuovo Fair Play finanziario vuole prevenire
Il nuovo Fair Play Finanziario non vuole punire, ma prevenire. È un invito alla sobrietà, un modo per ricordare che la passione non può essere un alibi per la bancarotta. E forse, per una volta, la storia della Juventus e quella del Napoli non sono solo due percorsi sportivi diversi, ma due visioni opposte del futuro del calcio: una che ancora insegue la gloria a debito, e una che ha imparato che la vittoria più difficile è quella che si ottiene restando in equilibrio.
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