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Fiorentina, Bove: "In ambulanza ho urlato una parola, mi hanno dovuto legare"

"Mi fa paura non avere, per la prima volta nella mia vita, una routine", ha spiegato il calciatore del club viola a Vanity Fair.


Luca CirilloLuca CirilloGiornalista

22/02/2025 00:13 - Interviste
Fiorentina, Bove: In ambulanza ho urlato una parola, mi hanno dovuto legare

Edoardo Bove, centrocampista della Fiorentina, ha rilasciato un'intervista a Vanity Fair e ha toccato tanti temi, soprattutto il delicato momento che ha vissuto e che sta vivendo dopo quanto accaduto nel corso della sfida contro l'Inter (il malore in campo ed il ricovero). Ecco alcuni passaggi: "In questo periodo tante persone mi hanno scritto raccontandomi di avere avuto un problema simile al mio: sono un ragazzo di 22 anni e non posso certo dare insegnamenti a nessuno, ma voglio testimoniare il fatto che è una cosa che può capitare, che non è così rara, e soprattutto che non sono un supereroe nell'essermi ritrovato a doverla affrontare".


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Poi ha aggiunto: "Ho rivisto subito, su Instagram, tutte le immagini. Preferisco prenderle di petto le situazioni, reagire immediatamente: se non posso farci niente, mi dico “andiamo avanti, vediamo cosa posso fare subito per stare meglio. Capire le cause di quello che mi è successo è stato il passo successivo. Sono tornato subito con la squadra, sono sempre positivo, sorridente. L’idea che è passata è un po’ quella. Invece ci sono alti e bassi. Ci sono volte in cui mi sveglio e non so dare un senso alla giornata".


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Sulla corsa in ospedale: "Ricordo davvero poco, che ero in campo e che a un certo punto ha cominciato a girarmi la testa come quando ti alzi troppo velocemente dal letto, ho avvertito una sensazione di spossatezza… e basta. Non ricordo di essere caduto. Mi sono risvegliato in ospedale, toccandomi le gambe perché pensavo mi fosse successo qualcosa al ginocchio, un incidente. Se ricordo qualcosa dei momenti in cui ho perso conoscenza? No, il nulla. Mi hanno raccontato, però, che quando ero in ambulanza ho fatto un po’ di casino: gridavo, mi dimenavo, dicevo cose a caso. Ho urlato “Fiorentina” fortissimo. Mi hanno dovuto legare".

Sul primo pensiero: "Sincero? “Ammazza che figura di… davanti al mondo intero. Ma non potevi scegliere un altro momento?!”. Era la partita delle 18, quella per il primo posto in classifica, la stavano guardando tutti. Detesto farmi vedere vulnerabile. “Perché proprio nel momento migliore della mia carriera?”. Subito dopo, però, ho capito di essere stato molto, molto fortunato. Ho rischiato tanto, devo essere grato alla vita perché tutto è successo in un campo di calcio, col soccorso a portata di mano: in 13 minuti ero in ospedale. Non so come sarebbe andata, se fosse successo in un’altra circostanza. Dopo aver metabolizzato, mi sono sentito la persona più felice del mondo".

Sugli obiettivi: "Mi fa paura non avere, per la prima volta nella mia vita, una routine. Non ho uno schema da seguire, posso fare quello che voglio. Prima, mi svegliavo la mattina e sapevo che il mio obiettivo era allenarmi. Ora faccio 200mila cose in più, anche più importanti, ma arrivo a sera e mi chiedo: ma che ho fatto oggi? Non sono appagato allo stesso modo. Triste? Ma no, zero. So che questo è un periodo, una condizione temporanea. Il mio obiettivo è tornare a giocare a giugno. Ho ancora qualche visita da fare, i medici devono incrociare tutti i dati".

Sulla possibilità di tornare a giocare: "Se si decide di mantenere il defibrillatore sottocutaneo, in Italia non potrò giocare: qui da noi la salute viene prima dell’individuo, e non sto dicendo che sia una regola sbagliata. Ma all'estero sì, praticamente ovunque. Gliel’ho detto, il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Non escludo affatto di poter togliere il defibrillatore: i medici mi stanno dicendo che c’è questa possibilità. E se fosse estero, non mi spaventa. Già quest’estate sono stato vicino ad andare a giocare all'estero (Nottinngham Forest, ndr). Non ho difficoltà ad adattarmi, mi basta trovare una mia routine".

Sulla nazionale: "Me lo sono chiesto tante volte. È un obiettivo, un sogno grande. Giocare in Nazionale significa entrare nella storia. Ma ora che mi è successo quello che mi è successo, devo ancora capire bene quali siano le regole in proposito. Due scenari. Il primo: continuo a giocare a calcio. Il secondo: nel caso in cui non potessi più farlo, lotterei per per trovare un nuovo fuoco dentro di me, che mi possa rendere sereno. Quella è la cosa più importante. Il giorno in cui andando ad allenarmi non mi sentissi più felice, sarei il primo a dire "ciao a tutti". Scommetterei sul primo".


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Luca CirilloLuca Cirillo
Giornalista dal 2010, ha lavorato per Il Roma. Da vicedirettore ed inviato di giornali online, ha seguito il Napoli in giro per l'Europa. È autore e conduttore di programmi su Radio Amore e collabora con alcune riviste.

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