Le bombe di Conte: la scossa che trasformerà il modello di business del Napoli?
Antonio Conte dopo la gara contro il Modena ha esternato le sue preoccupazioni per il mercato. Parole esplosive che vanno analizzate e interpretate nel giusto modo.

Da tifoso del Napoli, sono contento del passaggio del turno. Da analista dei fenomeni manageriali e aziendali, sono felicissimo delle dichiarazioni esplosive di Antonio Conte a fine partita, indirizzate alla società. Conte è un vincente, e l'anno prossimo – solo Dio sa quanto non vorrei essere smentito – l'obiettivo non gli sfuggirà, a patto che si rispettino gli accordi di collaborazione stabiliti durante oltre tre mesi di trattative. Conte aveva bisogno di mettere in riga alcuni dirigenti e costringere il presidente a promettergli, nonostante le formali smentite di rito, i cambiamenti culturali da lui suggeriti. Non si tratta (solo) di mercato, ma di un approccio manageriale basato su un modello aziendale che al Napoli manca(va).
Chi lo ha ingaggiato, lo sapeva: lo ha sempre fatto! A Bari, alla Juve, all’Inter, al Tottenham. Al Napoli, le vittorie importanti arrivano mediamente ogni 30 anni. Conte non è un simpaticone, e il suo atteggiamento piagnone lo fa sembrare peggio di Sarri, che al confronto sembra Totò. Tuttavia, è uno dei pochi che in breve tempo sa trasformare un gruppo in una squadra. Concetti che, nella gestione delle organizzazioni, sembrano simili ma in realtà non lo sono.
Il comportamento di Conte in questi primi mesi ha avuto un solo obiettivo: far capire al management del Napoli che avere una finalità comune, come avviene in un gruppo, non equivale a vincere. Ed è per questo che, di solito, nelle organizzazioni si aspetta tanto prima di alzare un trofeo.
Julio Velasco, durante un incontro formativo presso la mia ex azienda oltre 15 anni fa, ci raccontò di come aveva detto ai suoi giocatori e dirigenti che dichiaravano di essere un buon "gruppo" (ma non vincevano): “Se non saprete lavorare con spirito di squadra, vi metterò in panchina a fare gruppo”.
Il gruppo, in un'azienda (ma non solo), è indispensabile per la produzione di idee; nel gruppo si discute, si media, si negozia, si opina, si prendono le distanze, si ammettono le eccezioni. Il concetto di gruppo privilegia l’attenzione all’assetto interno, alla collaborazione tra persone, alla loro organizzazione per lavorare bene (più che per gareggiare!).
Conte, invece, ha voluto lanciare un messaggio preciso: oltre a una finalità comune, la società deve competere, deve diventare una squadra. Il concetto di squadra evoca l'ambiente esterno della competizione e della sfida!
Nella squadra non si discute (non c’è posto per la discussione una volta deciso cosa fare), non si media (perché la mediazione è sempre un abbassamento del livello di eccellenza), non si negozia (perché se l’obiettivo è chiaro a tutti, non c’è bisogno di modificarlo), non si opina (le opinioni non portano quasi mai a risultati concreti), non si prendono le distanze (chi vuole farlo deve uscire dalla squadra), non si ammettono eccezioni (o se ci sono, si risolvono in un secondo momento, a risultato acquisito).
Ottenere dalle persone abituate a lavorare in gruppo un comportamento da squadra non è facile, e la sua realizzazione non è immediatamente conseguente alle dichiarazioni. Ci vuole tempo, serve una selezione severa delle persone, è un problema di educazione non spontanea, che deve essere indotta con la convinzione, la consapevolezza, la formazione e la testimonianza più che con la costrizione. Ma a Conte la variabile tempo non piace.
Il concetto di squadra di Conte implica che le persone (dirigenti e calciatori) di cui essa è composta devono avere immediata coscienza di partecipare a una sfida, alla fine della quale c’è la vittoria o la sconfitta!
Il messaggio di Conte ad Aurelio De Laurentiis (e Manna) è stato chiaro: tutti i manager sanno (o possono) lavorare in gruppo; non tutti sanno o possono lavorare in squadra.
Avrà ragione lui? Basta solo capire quale avverbio aggiungere: purtroppo o per fortuna?





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