Il Napoli ci ha "fregato": il problema è l'anima. La verità che fa paura a tutti
Stagione disgraziata per il Napoli, non c'è metrica che tenga per spiegare il crollo della squadra azzurra. Il problema è prettamente mentale, i giocatori appaiono svuotati, ma la società ha evidenti responsabilità.

Un grande maestro del giornalismo sportivo purtroppo scomparso un paio di anni orsono aveva sentenziato che sempre più spesso il giornalismo sportivo si limita a dire al tifoso quello che vuole sentirsi dire. Mutatis mutandis oggi questo arguto pensiero potrebbe essere attribuito anche alla attuale proprietà del calcio Napoli, almeno nella misura in cui il subconscio ti spinge a dire, prima che a pensare, cose forti e spesso e volentieri in perfetta antitesi tra loro a distanza di poco tempo. Questa affermazione, di per sé probabilmente forte, è in realtà sotto gli occhi di tutti, basterebbe scegliere a piacere un argomento per poter citare frasi o massime divenute anche celebri tra tifosi, addetti ai lavori e ambiente in generale. Dalla questione della Pay per View, alla questione Stadio, dai rumors di mercato relative al possibile allenatore, al concetto di impossibilità di vincere due anni di seguito. E potremmo a lungo continuare con altre tematiche la cui comunicazione è stata gestita in pari guisa dicendo tutto e il suo contrario.
Traslare quella che è la conduzione societaria di Aurelio De Laurentiis sul campo equivale a trasferire sul terreno di gioco quella che è l'immagine stessa di un Club che al momento non pare saper bene cosa fare, il cui futuro appare quanto mai incerto, sia per le questioni relative all'alone di mistero che da sempre pervade l'area investimenti strutturali, leggi nell'ordine Settore giovanile alias "scugnizzeria", Centro sportivo, Stadio nuovo o ristrutturazione del Maradona, sia per quello che concerne la sfera più squisitamente tecnico-tattica, dal direttore sportivo, all'area scouting, all'allenatore.
Ecco così che, ad immagine e somiglianza del modello "Delaurentiisiano", quest'anno la città di Napoli, città Campione d'Italia in cui il calcio è per davvero un fenomeno sociale, ha assistito in campo alle gesta di una squadra che non sapeva cosa fare, che non aveva un punto di riferimento nel quale rifugiarsi quando, come spesso è accaduto, bisognava solo congelare la gara in cui si era in vantaggio, una compagine senza un piano tattico preciso, senza identità e alla fine anche senza anima.
Provare ad analizzare la gara di Udine sarebbe, anche per un analista come il sottoscritto, esercizio alquanto sterile nel significato e quindi nel feedback che ci si aspetterebbe di poter ricavare dalla lettura intelligente dei dati e delle metriche scaturite dalla contesa. Senonché all'atto in cui mi sono trovato a farlo anche soltanto per deformazione professionale mi sono reso conto della potenza dei numeri e delle informazioni che sono indirettamente contenute in esse. La lampadina si è accesa in seguito a due elementi, uno ricavato dalla comune osservazione del fatto agonistico, elemento fruibile da ogni spettatore, la totale apatia nell'esultanza dei giocatori del Napoli al primo gol e anche al raddoppio, quasi si trattasse né più e né meno di un allenamento; l'altro elemento si è palesato allorché confrontandomi come spesso accade con professionisti delle metriche e dei dati più avanzati, alcuni dei quali in questa stagione abbiamo provato a portare anche alla attenzione dei lettori più curiosi, è venuta fuori una considerazione molto pertinente: il Napoli vanta ancora ad oggi dei dati quantitativi invidiabili in molti settori del campo e in molte fasi del gioco; ma oltre alla scarsa efficacia più volte evidenziata in tutti quelli che sono i gesti tecnici e le fasi tattiche, c'è una cosa che i numeri non possono misurare, una cosa chiamata anima. E' quella che spinge un compagno a rincorrere l'avversario con cattiveria agonistica selvaggia, piuttosto che passare un pallone al compagno meglio piazzato, piuttosto ancora che a fare di tutto per non essere raggiunti nei minuti di recupero dall'avversario spesso dopo aver dominato la gara.
Anche quest'anno la città di Napoli l'anima ce l'ha messa, risultando come da tabella di seguito, con una media di 43401 spettatori a gara, al quarto posto in Serie A , proprio come lo scorso anno, dopo Inter, Milan e Roma, che hanno stadi con capienza diversa. E mi permetterei anche di dire che l'anima per quello che può contare l'hanno messa tutti, media, stampa, addetti ai lavori. La summa di tutto quanto sopra è semplicemente una: questa Società, e di conseguenza questa squadra che ne è il naturale parto, hanno dimostrato quest'anno di non meritare l'Europa di qualsiasi rango essa potesse essere. La città, quella vituperata e spesso maltrattata nelle dichiarazioni presidenziali, al momento è in forte credito nei confronti della società; si leggono ogni giorno decine di rumors di mercato relativi a potenziali acquisti spesso anche improbabili. La realtà è che davanti ad un quadro di questo genere, ricordando che ne sono passati e ne passeranno tanti di giocatori e allenatori che hanno fatto la fortuna dei colori azzurri ricavandone sempre un enorme trampolino di lancio per le proprie carriere, l'unica certezza resta la maglia azzurra che mai più potrà essere disonorata e spogliata dell'anima come quest'anno.
Ci avete fregati tutti, abbiamo analizzato dati, controdati, metriche e algoritmi, scervellandoci alla ricerca di una chiave di lettura plausibile che desse accesso alla soluzione del problema. Ma quando il problema è l'anima, non esiste cura; il Napoli c'è fisicamente in mezzo al campo, ma di fatto non c'è più, ed è quanto di più difficile da digerire.
(Fonte statistica: FBREF)







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